Bce e inflazione, ha ragione Lagarde o Salvini? Una questione di equilibrio

(Adnkronos) – “E’ probabile che continueremo con i rialzi dei tassi a luglio. Non pensiamo a una pausa, non siamo ancora arrivati a destinazione e abbiamo ancora strada da fare”. La Bce, ha ricordato ancora una volta oggi la presidente Christine Lagarde, lotta contro l’inflazione troppo alta, o troppo bassa, perché tenerla più vicina possibile al 2% è il principale obiettivo del suo mandato. La Bce infatti ribadisce che “il Consiglio direttivo è pronto ad adeguare tutti i suoi strumenti nell’ambito del proprio mandato per assicurare che l’inflazione torni all’obiettivo del 2% a medio termine e per preservare l’ordinato funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria”. 

Queste parole sono un mantra che qualsiasi presidente della Banca centrale europea è tenuto a ripetere, per Statuto. E’ una questione di ortodossia rispetto alle leggi della politica monetaria perché, come ha spiegato la stessa Lagarde recentemente di fronte al Parlamento europeo, “questo impegno per la stabilità dei prezzi contribuisce alla crescita economica e all’occupazione a medio termine e, quindi, alla riduzione delle disuguaglianze”. 

Il fondamento di questo ragionamento è l’assioma che lega il controllo dell’inflazione, la crescita economica e l’occupazione. La variabile significativa è però il ‘medio termine’. Perché invece, nel breve termine, si possono verificare fasi in cui non coincidono i buoni propositi della politica monetaria con la sua effettiva trasmissione all’economia reale. Sono quelle fasi in cui la lotta all’inflazione troppo alta, attraverso una politica restrittiva e il rialzo dei tassi, finisce per compromettere il sostegno alla crescita. 

A questo rischio sembrano riferirsi le parole di Matteo Salvini. “La presidente della Bce Lagarde si rende conto che con la sua politica sui tassi riduce di qualche decimo di punto l’inflazione ma danneggia famiglie e imprese?”. La domanda, a questo punto, è: ha ragione lui o Lagarde? Dipende, è una questione di equilibrio.  

La politica monetaria restrittiva interviene quando ci si trova di fronte a un’inflazione eccessiva e prolungata. Un incremento dei prezzi troppo pronunciato, infatti, comprime il potere d’acquisto delle famiglie e pesa sulle imprese. Ma una stretta monetaria eccessiva, oltre a frenare l’inflazione, può pesare sull’andamento del pil, innescando una spirale negativa. Al contrario, la politica monetaria espansiva punta a spingere i consumi e gli investimenti. Ma se si esagera può far salire l’inflazione nel medio termine, andando di fatto contro il suo obiettivo principale, che resta la stabilità dei prezzi. 

Per questo, viene continuamente discusso il corretto equilibrio tra le due spinte opposte. Finché si resta nell’ortodossia le sfumature tra le diverse posizioni sono conciliabili, quando invece l’ortodossia diventa ‘ossessione’, si consuma la frattura fra falchi e colombe, che poi spesso coincide con la divisione su due fronti tra i paesi più forti, e rigorosi, e quelli più esposti al debito alto e agli umori dei mercati. (Di Fabio Insenga) 

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