Ci sono gli incentivi per la nascita e lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali e libero professionali. Ci sono contributi ed agevolazioni fiscali per coloro che vogliono intraprendere un percorso formativo o lavorativo. Tuttavia, la condizione dei giovani del Mezzogiorno resta piuttosto precaria. La conferma arriva dal nuovo approfondimento condotto dall’Istat. La carenza di opportunità di impiego stabile non è di certo una novità, ma la situazione va peggiorando, nonostante i proclami e i buoni propositi nel voler cercare di invertire questa drammatica tendenza. Un trend che è determinato da una progressiva contrazione del numero di giovani nel Mezzogiorno, dal prolungamento dei percorsi di istruzione, dall’incapacità di avvicinare la domanda all’offerta di lavoro e dagli effetti di una lunga fase di stagnazione economica.
In particolare, il decremento della popolazione giovanile prende avvio nella seconda metà degli anni Novanta, dopo il picco del 1994, che conclude il periodo del secondo baby-boom. Da quell’anno in poi si registra un calo sistematico sia in valore assoluto che di incidenza sulla popolazione totale. Inoltre, malgrado i progressi compiuti, si registrano ancora forti ritardi riguardo al livello d’istruzione raggiunto dai giovani rispetto agli altri Paesi europei. Per di più, il mercato del lavoro ha attraversato un lungo periodo di stagnazione, in mezzo a due gravi recessioni innescate dalla Grande crisi del 2008 e dalla pandemia da Covid-19.
Tutto ciò ha portato al decadimento della qualità del lavoro, all’incremento dei contratti atipici e stagionali, nonché alle varie forme di precariato indotte dalle trasformazioni strutturali del mercato del lavoro e dall’andamento del ciclo economico. Seppur sia aumentato il lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, cresce ancora di più il lavoro atipico.
Basti pensare al settore turistico. Negli ultimi anni sono aumentate le imprese che operano nei settori della ricettività, della ristorazione e dei servizi. Così in presenza di un marcato processo di deindustrializzazione, la specializzazione nel settore turistico – che è un settore ancora notoriamente caratterizzato da una bassa produttività del lavoro e che soffre di un’elevata stagionalità – può provocare una diminuzione della domanda di skilled labor (manodopera qualificata), accentuando i flussi migratori di forza lavoro maggiormente specializzata e quindi riducendo in generale la produttività del lavoro (da «I limiti dello sviluppo turistico nel Mezzogiorno: il caso della Provincia di Lecce»). Il turismo, dunque, non genera crescita e che è semmai lo sviluppo locale a essere un prius rispetto all’aumento degli afflussi. Inoltre, il settore è anche caratterizzato da retribuzioni molto basse.
Durante l’estate si moltiplicano gli arrivi nel Sud Italia, ma le aziende non riescono a sfruttare appieno questa opportunità, perché la loro redditività resta ancora troppo bassa ed è questo il tema cruciale da affrontare. Intraprendendo un percorso sostenibile, sia dal punto di vista finanziario che da quello ambientale, occorre perseguire un modello di sviluppo che possa far incrementare i ricavi e gli utili aziendali. Solo così si potranno prevedere nuovi investimenti e, conseguentemente, creare occupazione stabile.
Davide Stasi – Osservatorio “Aforisma”
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