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«Un’agorà del XXI secolo. Ecco la mia idea di museo»

Una preparazione accademica eccellente, tanta passione per la storia e una lunga esperienza in Francia. Toscana doc, con un solido curriculum dal 2015 è la direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA. Eva Degl’Innocenti ricopre questo incarico importante frutto di una rigida selezione dopo aver diretto per anni il Museo Coriosolis e il…

Una preparazione accademica eccellente, tanta passione per la storia e una lunga esperienza in Francia. Toscana doc, con un solido curriculum dal 2015 è la direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA. Eva Degl’Innocenti ricopre questo incarico importante frutto di una rigida selezione dopo aver diretto per anni il Museo Coriosolis e il Servizio dei Beni Culturali di un Ente locale in Bretagna, aver lavorato come project manager e ricercatrice sulle collezioni archeologiche classiche e medievali al Museo Nazionale del Medioevo di Parigi e come project manager alle Scuderie del Quirinale di Roma, nonché a numerosi altri progetti di musei nazionali e internazionali. Con una laurea in Archeologia conseguita a Pisa e un dottorato all’Università di Siena, oggi è al MArTA, tra i più importanti musei al mondo.

Eva Degl’Innocenti come è nata la sua passione per l’archeologia?
«Sin da piccola amavo la storia, l’architettura e i viaggi. Fortunatamente ho avuto la possibilità di viaggiare molto e quindi di sviluppare sempre più l’amore per l’arte in generale».
Ha mai pensato che sarebbe diventata dirigente di un grande museo?
«Da sempre il mio desiderio è stato quello di lavorare in un Museo e quindi per me dirigerlo era un sogno. Ho avuto questa consapevolezza sin dai tempi dell’Università. Il mio obiettivo era unire l’archeologia ai musei».
Come è cambiato il MArTA con il suo arrivo?
«Quando sono arrivata il mio obiettivo è stato quello di accelerare il più possibile l’apertura del secondo piano che poi è avvenuta il 1° luglio 2016. Inizialmente era concepito come uno spazio museale non molto aperto. Ho cercato di capire perché e qual era il pubblico che lo frequentava che era suddiviso solo in italiani e stranieri. E invece era importante capire il target specifico per formulare un’offerta dettagliata. Per non parlare poi della didattica che era abbastanza carente. Allora ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo realizzato una programmazione tematica sui vari tipi di pubblico inserita in un piano strategico pluriennale scientifico e culturale. Abbiamo quindi lavorato con il pubblico affetto da disabilità, realizzato attività per bambini e adolescenti e curato la promozione e la comunicazione culturale».
Qual è allora la sua idea di museo? La sua gestione sembra aprire sempre più lo spazio museale a svariate iniziative culturali (convegni, incontri, eventi musicali).
«Certo, perché il museo deve essere attivatore di cittadinanza attiva e non solo attrattore culturale, un’agorà del XXI secolo. Un luogo di produzione culturale e non un semplice contenitore».
Dunque lei ha trasformato la concezione classica di museo che diventa così un luogo vivo che appartiene al territorio.
«Infatti, è un bene che appartiene a tutti e a tutte e questo è un lavoro che si fa con le comunità. Il MarTA non è un museo da collezione ma di sito. Ė legato al contesto territoriale e io ho cercato di concepirlo come un progetto di territorio in una città come Taranto che deve rinascere. Fondato nel 1887 all’inizio era un grande magazzino che conservava reperti archeologici. Il cambiamento è stato quello di creare un MArTA per tutti lavorando sull’offerta culturale. Il museo infatti progetta anche in base agli interessi e alle aspettative dei suoi fruitori che ne diventano attori e ambasciatori di questo progetto, perché parte integrante».
Il rilancio di Taranto secondo lei passa anche attraverso l’integrazione cultura e ambiente?
«Occorre certamente una forte attenzione al patrimonio culturale e naturalistico: quello di cui ha bisogno Taranto è la capacità progettuale con validi piani di gestione con ricadute a medio e lungo termine. Non occorrono invece progetti meteore che distruggono la città».
Qual è il suo rapporto con la città?
«Ho preso la residenza a Taranto appena sono arrivata. Non volevo essere una pendolare ma volevo viverla dall’interno. Ho un legame molto forte con la città dove venivo in vacanza già da bambina. Infatti conoscevo il museo, anzi uno degli elementi che mi ha spinto a fare l’archeologa è stato proprio questo. Taranto è una città che accoglie e non respinge. Per questo mi sta a cuore la sua rinascita».
Lei ricopre un ruolo che è stato prevalentemente una prerogativa maschile. Quali sono state le difficoltà per raggiungere il suo traguardo?
«Le difficoltà sono state numerose, dopotutto viviamo in un Paese maschilista e gerontocratico. Dopo la mia esperienza in Francia sono tornata in Italia a 39 anni e il nomignolo che mi attribuirono era “la ragazzina”, in senso dispregiativo. Per non parlare poi del fatto che mi consideravano l’amante di un fantomatico cugino di Matteo Renzi perché toscana come l’ex Presidente del Consiglio che ricopriva questa carica proprio quando sono stata nominata direttrice del MArTA. Oggi tutto questo mi fa sorridere ma sono esempi emblematici ed eloquenti delle difficoltà per raggiungere un traguardo frutto solo di capacità personali».

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