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Un innovatore discutibile ma coraggioso

Quella di Berlusconi è la morte di un grande innovatore. Discutibile. Anzi, discutibilissimo. Ma innovatore come pochi. Nella comunicazione, nella politica, nello sport. Innovatore è colui che apre strade nuove.

E Berlusconi ha saputo aprire tre grandi autostrade. Non tutte secondo le regole, non tutte ben riuscite, ma certamente necessarie. Autostrade che hanno rimesso in moto il Paese, in un momento in cui tutto sembrava crollare o ristagnare. Indubbiamente aveva da salvaguardare i suoi interessi. Indubbiamente ha potuto approfittare di grandi appoggi politici. Ma senza il suo intuito innovativo, oggi non vivremmo nella stessa Italia. Piaccia o non piaccia.

Nel ‘78, due anni dopo la sentenza della Consulta che liberalizzò l’etere, fino ad allora monopolio di Stato, e quando tutti, sentenza alla mano, si affaticavano nella ricerca di nuovi spazi televisivi locali, lui inventò la tv nazionale commerciale partendo da Telemilano. Un’idea rivoluzionaria nell’Italia di quell’epoca, abituata ad appena due canali in bianco e nero per poche ore al giorno. Senza il suo amico Craxi, è vero, non sarebbe andato lontano, ma l’idea gliela portò lui, su un piatto d’argento.

Per prima cosa mise insieme venti tv regionali, poi ottenne il tg unico. Infine, nel ‘90, la legge Mammì che fotografò l’esistente, riconoscendogli, unico caso al mondo, la possibilità di avere tre reti nazionali, come la Rai, su dodici complessive. Per la tv fu una innovazione che aprì nuovi spazi informativi e commerciali e sancì il primato della parola su quello della lettura. Solo allora i suoi avversari, ma anche i suoi amici, si resero conto del potere che gli avevano dato. Anche perché, nel frattempo, era diventato anche editore di carta stampata. Iniziarono così a fargli gli sgambetti. Lui, senza distrarsi, approfittò del vuoto creato da Mani Pulite, e decise di creare un partito. Per difendersi. Da mago della comunicazione lo chiamò nel modo più facile e immediato possibile: Forza Italia, perché, come disse nel messaggio di presentazione a reti unificate (le sue), «io amo il mio Paese, l’Italia».

Gli bastarono tre mesi per vincere le elezioni e diventare capo del governo. Riuscì così ad essere l’unico editore al mondo ad avere la proprietà di sei televisioni: le tre dello Stato e le tre Mediaset. Non gli riuscì lo sbarco nella grande distribuzione. E allora decise di rifarsi nello sport, acquistando il Milan. Il suo impero è stato sempre un circolo, fondato sulla comunicazione, con due satelliti strategici: la politica e lo sport. La sua affabilità, il suo modo unico di saper parlare alla gente, la sua grande capacità comunicativa e il grande potere conquistato con le sue invenzioni, l’hanno fatto diventare l’uomo più potente e controverso della storia recente dell’Italia. Decine e decine di inchieste giudiziarie, da quella del pretore di Torino che voleva impedirgli di trasmettere un unico tg nazionale, alla vicenda Ruby, passando per le notti allegre a palazzo Grazioli, lo hanno appena scalfito. Di recente era persino tornato a fare il senatore, carica della quale era stato spogliato dalla legge Severino. Ucciso più volte, più volte rinato. Quasi un Gesù laico, che spiega perché milioni di italiani lo hanno acclamato e seguito fino all’ultimo improbabile messaggio, lanciato dalla clinica ai dirigenti del suo partito.

Il mondo della comunicazione gli deve molto. Ha insegnato a tanta gente cos’è e come si fa televisione, rimboccandosi le maniche e mostrandolo in prima persona, sul set, negli studi, prima di un’intervista. Una delle tante volte che mi è capitato di intervistarlo, mi presentai col colletto della camicia che aveva un lembo girato all’insù. Non per moda, ma per distrazione. Mi guardò sorridendo e mi disse: «Questo può farlo coi suoi amici, non in televisione». E mi mise a posto il colletto. Nel suo piccolo fu una lezione. Di stile, ma anche di linguaggio. Perché bastò quel suo gesto a farmi cambiare tono ed argomenti dell’intervista. Avrei voluto elencargli le cose su cui si sbagliava, nel mondo della tv come in politica. Ma forse nessuno ci è mai riuscito.

Vincenzo Magistà è direttore di Tg Norba 24

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