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Tumori del colon-retto, nel 2022 i nuovi casi sono stati 48mila

MILANO (ITALPRESS) – I tumori del colon-retto rappresentano il terzo cancro negli uomini e il secondo nelle donne. Nel 2022 si stima che i nuovi casi siano stati 48.100, di cui 26 mila negli uomini e 22.100 nelle donne. Sono i dati dell’ultimo rapporto “I numeri del cancro in Italia”, firmato dall’Associazione Italiana di Oncologia…

MILANO (ITALPRESS) – I tumori del colon-retto rappresentano il terzo cancro negli uomini e il secondo nelle donne. Nel 2022 si stima che i nuovi casi siano stati 48.100, di cui 26 mila negli uomini e 22.100 nelle donne. Sono i dati dell’ultimo rapporto “I numeri del cancro in Italia”, firmato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica, che evidenzia un aumento dell’incidenza in entrambi i sessi nel 2022 rispetto al 2020. Per quanto riguarda la mortalità, nel 2021 sono stati stimati 21.700 decessi, più numerosi tra gli uomini. Attualmente la sopravvivenza netta a cinque anni dalla diagnosi è del 65% negli uomini e 66% nelle donne, con percentuali ancora migliori superati i primi dodici mesi dopo la scoperta della malattia. Questo è uno dei temi affrontati da Antonino Spinelli, responsabile Unità operativa di chirurgia del colon e retto dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano), intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“La difficoltà del tumore del colon-retto è che nella maggior parte dei casi i sintomi sono veramente molto sfumati – ha spiegato Spinelli -. Non bisogna sottovalutare le alterazioni: alcuni pazienti hanno da sempre l’intestino con determinate caratteristiche, se cambia il ritmo è un sintomo d’allarme”. Altri sintomi da tenere in considerazione sono “la presenza di sangue, muco nelle feci, stanchezza che non si giustifica in altro modo e l’incapacità di fare le stesse cose che si fanno normalmente. Tutti questi sintomi possono essere dovuti a tante cose, sono sfumati” ma bisogna tenerli in considerazione.
Per Spinelli si tratta di “uno dei tumori più diffusi in assoluto, in particolare nei giovani”. “E’ un’evidenza – ha spiegato – degli ultimi anni. Abbiamo una grossa linea di ricerca sul tumore dell’intestino nei giovani. Quello che si evidenzia è che sembra che sia una forma effettivamente differente. Gli stadi molto precoci hanno una prognosi peggiore nel giovane rispetto all’anziano. Probabilmente c’è una biologia, un’aggressività superiore da parte del tumore”.
Si parla molto dei rapporti con l’alimentazione. “E’ vero – ha affermato – che esiste una forte correlazione tra un tipo di alimentazione particolarmente ricca di grassi saturi, di origine animale, come quella americana, e una maggiore incidenza di tumori del colon-retto. In particolare viene favorita la trasformazione da polipo a tumore”.
Dal punto di vista chirurgico, c’è stata una novità che riguarda la chirurgia mininvasiva. “E’ stata una rivoluzione, più che un’innovazione. Oggi – ha evidenziato – lo standard della chirurgia colonrettale è quella mininvasiva”.
Come spiegare la chirurgia robotica sull’intestino? “La chirurgia robotica – ha detto – è caratterizzata dal fatto che esiste uno strumento che media il rapporto tra chirurgo e paziente. Nella chirurgia mininvasiva si interpone uno strumento che ha una lunghezza di circa 30 centimetri mentre in quella robotica il chirurgo può essere dall’altra parte del mondo”.
Dopo gli interventi mininvasivi la qualità della vita è migliore? “L’intervento deve essere fatto a regola d’arte in ogni caso. Chi può sottoporsi a un intervento in chirurgia mininvasiva – ha sottolineato – avrà un recupero molto più rapido, oggi quasi immediato. L’approccio è minimalista: cerchiamo di togliere tutto ciò che non è strettamente necessario e di interferire meno possibile con l’equilibrio del paziente”.
Frequentemente si parla anche della malattia di Crohn. “L’incidenza delle malattie di Crohn è in aumento in tutti i paesi sviluppati. E’ una malattia infiammatoria cronica dell’intestino – ha spiegato -, cioè una malattia nella quale l’intestino comincia a reagire con autoimmunità contro di sè, quindi genera un’infiammazione difficile da spegnere. Quando è possibile, si spegne con medicine, farmaci anche di ultima generazione. Quando non è possibile o esistono complicanze della malattia, è necessario il chirurgo”.
Per Spinelli “i rischi dell’intervento sono gli stessi per la patologia oncologica e per la malattia infiammatoria. Oggi in gran parte delle situazioni – ha aggiunto – la chirurgia non è l’ultima spiaggia ma un’opzione che il paziente considera dall’inizio”.

– foto Italpress –
(ITALPRESS).

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