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Trovare manodopera è diventata una impresa: annunci a vuoto per impiantisti e carpentieri

È allarme manodopera in Italia con il Sud che vive una condizione oramai d’emergenza cronica, con un incremento di ben 9,1 punti rispetto a un anno fa. Nel 32,4% dei casi la mancanza di lavoratori è dovuta all’assenza di candidati mentre, nel 10,8% dei casi, all’inadeguata preparazione dei candidati. È quanto emerge dall’ultimo report diffuso…

È allarme manodopera in Italia con il Sud che vive una condizione oramai d’emergenza cronica, con un incremento di ben 9,1 punti rispetto a un anno fa. Nel 32,4% dei casi la mancanza di lavoratori è dovuta all’assenza di candidati mentre, nel 10,8% dei casi, all’inadeguata preparazione dei candidati. È quanto emerge dall’ultimo report diffuso ieri da Confartigianato.

Un vero e proprio grido d’allarme per tante piccole e medie imprese che hanno difficoltà a trovare professionalità adeguate da inserire in azienda. A Livello nazionale, nell’ultimo anno la quota di lavoratori introvabili sul totale delle assunzioni previste è passata dal 40,3% di luglio 2022 al 47,9% registrato a luglio di quest’anno. “Un fenomeno – si legge nel report – diffuso in tutta Italia e in tutti i settori, da quelli tradizionali fino alle attività digitali e hi tech”.

Le maggiori difficoltà di reperimento si riscontrano per i tecnici specializzati nella carpenteria metallica (70,5% di personale difficile da trovare), nelle costruzioni (69,9%), nella conduzione di impianti e macchinari (56,6%). Lo studio realizzato dall’associazione di categoria comprende anche una distribuzione su base regionale dei dati da cui emerge che in Puglia la difficoltà a reperire manodopera è cresciuta nell’ultimo anno del 10,5 per cento passando dal 31,7 per cento al 42,2 per cento.

A livello regionale, le imprese che faticano di più a trovare dipendenti operano in Trentino-Alto Adige, con il 61,6% del personale di difficile reperimento. Seguono quelle della Valle d’Aosta (57,1%), dell’Umbria (54,6%), del Friuli-Venezia Giulia (53,3%), dell’Emilia-Romagna (52,7%), del Piemonte (52%) e del Veneto (51,4%). Nell’ultimo anno, inoltre, la quota di lavoratori difficili da trovare è salita di 9,1 punti nel Mezzogiorno, di 6,9 punti nel Centro, di 7,4 punti nel Nord Ovest e di 6,5 punti nel Nord Est. In particolare, i maggiori aumenti si registrano in Abruzzo (+11,5%), in Calabria (+10,9%), in Liguria (+10,8%) e, appunto, in Puglia (+10,5%).

Come reagiscono a tutto questo le piccole imprese? Intensificando le collaborazioni con gli istituti tecnici e professionali, l’utilizzo di stage, tirocini, percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Inoltre, all’aumento delle retribuzioni, affiancano l’offerta di pacchetti di welfare aziendale, flessibilità dell’orario di lavoro, l’utilizzo dello smart working, interventi per migliorare il clima aziendale e il comfort dei luoghi di lavoro. «La carenza di manodopera – spiega il presidente di Confartigianato Marco Granelli – è diventato uno dei maggiori problemi per le nostre imprese. Siamo al paradosso: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E, nel frattempo, 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma, non cerca occupazione. Di questo passo, ci giochiamo il futuro del made in Italy. Ecco perché il dibattito su salario minimo e lavoro povero deve allargarsi ad affrontare con urgenza il vero problema del Paese: la creazione di lavoro di qualità. Serve un’operazione di politica economica e culturale che avvicini la scuola al mondo del lavoro, per formare i giovani con una riforma del sistema di orientamento scolastico che rilanci gli Istituti Professionali e gli Istituti Tecnici, investa sulle competenze a cominciare da quelle digitali e punti sull’alternanza scuola lavoro e sull’apprendistato duale e professionalizzante. Bisogna insegnare ai giovani che nell’impresa ci sono opportunità, adeguatamente retribuite, per realizzare il proprio talento, le proprie ambizioni, per costruirsi il futuro».

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