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Sull’acciaio dodici anni di “melina”

La notizia dell’incontro tra una delegazione di Palazzo Chigi e le organizzazioni sindacali, in programma mercoledì 20 a Roma, è senz’altro una buona notizia per l’ex Ilva. A una condizione, però. Che il Governo si astenga da quel “calcio alla lattina” che da 12 anni ha avuto come unico risultato quello di spingere ArcelorMittal a disimpegnarsi, spianando la strada al definitivo spegnimento del polo siderurgico.

Già, perché la politica ha una buona dose di responsabilità nell’agonia, cominciata con i ministri Di Maio prima e Patuanelli poi smantellarono la gara che il loro predecessore Calenda aveva aggiudicato inchiodando gli indiani a una serie di impegni precisi.

La situazione è rimasta sostanzialmente immutata ai tempi del governo Draghi: Giancarlo Giorgetti, allora ministro dello Sviluppo economico, sosteneva che l’impasse in cui l’ex Ilva era piombata si sarebbe risolta a maggio 2022, quando lo Stato sarebbe subentrato ad ArcelorMittal; successivamente, però, il Ministero dell’Economia e delle Finanze puntò i piedi, contrario com’era a impegnare miliardi e miliardi di euro nell’acciaieria tarantina, e la scadenza slittò a giugno 2024.

È così che si è giunti a febbraio di quest’anno, quando il governo Meloni ha emanato il decreto che per la sola ex Ilva prevede la possibilità che Invitalia, detentrice del 38% delle quote societarie, chieda il commissariamento per inadeguatezza anche della società di gestione dell’impianto: un atto considerato ostile da parte di ArcelorMittal.

Ci troviamo, dunque, davanti a 12 anni di “melina” che hanno avuto come unico effetto quello di “raffreddare” gli indiani che hanno disimpegnato progressivamente i propri manager dalla gestione dell’impianto e concentrato gli investimenti in altri poli sparsi per l’Europa e per il mondo.

Risultato: oggi ArcelorMittal non vuole contribuire alla devoluzione dei capitali necessari per affrontare l’emergenza di cassa per pagare materie prime e fornitori. In tutto questo, eccezion fatta per i sindacati, non si è registrata una forte mobilitazione da parte del territorio, finalizzata a evitare lo spegnimento di un impianto che resta strategico per lo sviluppo di Taranto, della Puglia e dell’intero Mezzogiorno.

A questo punto, alla politica non può che chiedersi una coraggiosa operazione-verità, come Oscar Giannino ha opportunamente fatto dalle colonne del Foglio. Il Governo deve fare chiarezza sulla strategia per l’ex Ilva. E deve farlo concretamente, scegliendo tra la nazionalizzazione da più parti invocata o l’apertura di una gara per cedere Acciaierie d’Italia a un gruppo o a una cordata di privati del settore siderurgico, interessati davvero a investire nel rilancio del ciclo integrato a caldo e nello sviluppo della decarbonizzazione. Tutto fuorché le inconcludenti tattiche dilatorie che rischiano di privare la Puglia di un asset fondamentale e gli operai del posto di lavoro.

Raffaele Tovino – Dg Anap

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