Durante la sua visita alla cittadina polacca di Przemysl, Matteo Salvini è stato pesantemente contestato dal sindaco Wojciech Bakun, il quale ha mostrato la la t-shirt con il volto di Vladimir Putin indossata in passato dal leader leghista. La notizia, il video, ha fatto il giro del mondo in pochi istanti. Da una parte c’è Bakun che neanche si sforza di parlare una lingua comune – l’inglese – o di guardare negli occhi l’interlocutore, tendendogli di fatto una imboscata, dall’altro c’è un rappresentante del Parlamento italiano, attonito, che prova a spiegare qualcosa in un inglese discutibile e che alla fine si allontana dalla scena contestato dai suoi stessi connazionali che sono lì a svolgere un altro lavoro: fotografi, reporter, inviati.
La scena è tragicomica, fantozziana se vogliamo. Un parlamentare che si reca al confine di uno Stato in guerra e viene rimandato indietro: «Venga con me di là a dirlo a Putin, quello che pensa di lui», gli grida il sindaco della cittadina polacca. Attore non protagonista della scena, ma troppo evidente per passare inosservato, è il giaccone di Salvini. Forse pescato a caso dall’armadio, forse indossato per scelta – chissà quale, ancora deve spiegarcelo – il giubbotto è pieno di marchi all’altezza del petto. Perfetto stile pilota di Formula 1 in trasferta. O un po’ come le medaglie del generale Figliuolo, solo che si tratta di brand, inconsapevolmente portati sulla scena della brutta figura. «Si tratta del giaccone di una Onlus che aiuta i rifugiati», commenta qualcuno sui social. «È quello della Regione Lombardia», scrive qualcun’altra. Appartiene in realtà alla Cancro Primo Aiuto Onlus, associazione attiva nel campo delle malattie oncologiche. Gli sponsor sulla giacca indossata da Salvini sostengono quindi l’associazione e non sono riconducibili al politico italiano.
La domanda che si pone però uno come me, che di lavoro si occupa di marketing e comunicazione, è: quelle aziende volevano essere lì? Sapevano che finanziando una causa nobilissima – chi scrive ha perso due cari per colpa del cancro – sarebbero finiti su un giaccone indossato da un politico in un tour al confine con l’Ucraina sconvolta dalla guerra? Davvero Salvini non aveva altro da indossare per una occasione che chiedeva e chiede il low profile? Le risposte dei marchi in questione avallano la mia tesi e non si sono fatte attendere: Colmar, azienda nota per la produzione di abbigliamento invernale ma non solo ha «rimarcato la propria opposizione a qualsiasi forma di promozione di personalità politiche italiane affermando la propria opposizione alla guerra in ogni sua forma»; Audi diffida chi usa la sua immagine in contesti come quelli scelti da Salvini e ribadisce di essere contraria alla guerra in due tweet. Anche la Regione Lombardia, con un comunicato, chiede di aprire un’inchiesta sul motivo che ha portato Salvini a indossare quel giubbotto. Un bel putiferio insomma, considerando che non viviamo più l’epoca del purché se ne parli. Bene. Purché se ne parli, bene. Semmai.
Sicuramente ci sono problemi più gravi da risolvere, certamente le priorità sono e restano altre. Nel frattempo, consigliare ai nostri politici un look più sobrio per certe visite in teatri di guerra potrebbe essere comunque un mite consiglio.