Lontano dai luoghi comuni e vicino all’ambiente, alle aziende agricole e, soprattutto, alle persone di cui imprese e comunità sono fatte, Leonardo Capitanio a soli 32 anni è a capo di Vivai Capitanio (www.vivaicapitanio.it) di Monopoli, presidente di ANVE (Associazione Nazionale Vivaisti Espositori) e vicepresidente di AIPH (International Association of Horticultural Producers). Se gli si chiede cosa fa per vivere, risponde il vivaista: semplice e spontaneo come un fiore di campo ma, conoscendolo più da vicino, anche insolito come una grevillea johnsonii, il suo fiore preferito. Perché dietro le recenti conquiste dell’azienda e delle associazioni di settore per cui si adopera ci sono le sue capacità relazionali, la sua conoscenza del mestiere, e il suo talento, innato ma ben coltivato come le sue piante.
Leonardo Capitanio, iniziamo dall’ultima vittoria: il 16 dicembre, in Campidoglio, Vivai Capitanio è stata riconosciuta fra le 100 Eccellenze Italiane del 2021, com’è andata?
«Già pensare di meritare la candidatura per me era un premio; essere scelti dal comitato d’onore, composto da personalità di spicco, è stata una grandissima emozione. Ho intrapreso questa avventura un po’ forzatamente, dopo la scomparsa di papà nel 2008, ad un mese dall’esame di maturità».
Come ha fatto a cavarsela?
«Con grande umiltà, con la famiglia al mio fianco e circondandomi di fantastiche persone, che sono state la mia vera eredità: papà non mi ha lasciato un’azienda ma delle persone legate all’azienda; con loro abbiamo provato a portarla avanti come ci ha insegnato lui». Sorride limpidamente Leonardo quando aggiunge: «Ad oggi le dimensioni aziendali sono raddoppiate e abbiamo iniziato a raccogliere qualche riconoscimento in più. Quelle persone sono ancora tutte con me; io sono il rappresentante legale, ma rappresento soprattutto loro. Abbiamo fatto crescere l’azienda, con mio fratello Simone a capo della produzione e dell’innovazione, anche all’estero (il 25% del business) e in termini di presenza istituzionale».
Infatti, Leonardo si è rivelato un grande mediatore e promotore di successo degli interessi del settore vivaistico e agricolo più in generale, scalando le vette delle associazioni di riferimento «anche lì mi sono stati tutti di grande aiuto, inclusi i nostri concorrenti». È in buona parte merito suo se le aziende del territorio sono riuscite a riorganizzarsi nel “dopo” Xylella e durante la pandemia. «Il nostro settore è stato fra i primi a sbloccarsi, frutto di un’intensissima attività di sana lobby fra noi e il Ministero, partendo da una posizione precisa: non vogliamo soldi, vogliamo solo poter lavorare nel miglior modo possibile, poi siamo noi a dover essere capaci di produrre reddito. Gli aiuti economici devono essere l’ultima soluzione, non il primo passo».
Dalle sue parole emerge grande rispetto e amore, per le persone, la famiglia, il territorio, il suo lavoro: ha ereditato anche quello da suo padre?
«Sicuramente facciamo qualcosa che ci piace e proviamo a farla con basi etiche, non solo con capacità tecniche ed esperienza (l’azienda ha una storia trentennale alle spalle). E sicuramente ho avuto la fortuna di percepire sulla mia pelle il beneficio di fare le cose in un certo modo: se papà non avesse pensato anche in termini di bilancio sociale, io non avrei potuto usufruirne».
Oltre curando il giardino botanico creato dal padre (www.lamadegliulivi.it), Leonardo tiene vivo il suo ricordo con il Premio Stefano Capitanio: due borse di studio che ogni anno vengono assegnate, nel corso di un convegno internazionale che si tiene a Monopoli, a studenti e studentesse per le migliori tesi su aspetti relativi alle produzioni floricole e vivaistiche, valutate da un’apposita giuria di giornalisti, tecnici, agronomi, e una persona della famiglia. Il prossimo bando sarà pubblicato a breve.
Il suo prossimo obiettivo?
«Creare le condizioni affinché le aziende del settore possano cogliere le grandi opportunità della spinta green del PNRR (ad oggi irraggiungibili), lavorando senza produrre alla cieca (con rischi altissimi) ma sulla base di contratti di lungo periodo, e che la società tutta possa beneficiarne».
Ma lei cosa avrebbe voluto fare da grande?
«Inizialmente volevo guidare camion. Ma la vita mi sta dando esattamente ciò che speravo quando ne parlavo con papà, sognando che con lui avremmo fatto crescere l’azienda e allargato la rete di relazioni. È una grande soddisfazione aver raggiunto quegli obiettivi. Comunque, appena posso salto su un camion e vado a consegnare un po’ di piante».