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“Sono cose che passano” di Pietrangelo Buttafuoco

Un intreccio tra libertà, trasgressione, fascino e morte. L’ultimo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco "Sono cose che passano" (ed. La nave di Teseo – sarà presentato domenica 30 gennaio alle 11 nella chiesa Santa Teresa dei Maschi nell’ambito del ciclo di incontri organizzati dalla Fondazione Tatarella) proietta il lettore nella Sicilia degli anni ‘50, dove nobili…

Un intreccio tra libertà, trasgressione, fascino e morte. L’ultimo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco “Sono cose che passano” (ed. La nave di Teseo – sarà presentato domenica 30 gennaio alle 11 nella chiesa Santa Teresa dei Maschi nell’ambito del ciclo di incontri organizzati dalla Fondazione Tatarella) proietta il lettore nella Sicilia degli anni ‘50, dove nobili dai modi fascinosi si accostano a borghesi benpensanti, nel giro di pochi chilometri si possono incrociare una matriarca dai modi popolareschi e Ingrid Bergman, innamorata di Rossellini sul set di “Vulcano”.

Buttafuoco, perché ha scelto gli anni del secondo dopoguerra?
«Quelli erano anni di passioni e libertà inaudita, anni in cui la società cominciava ad avviarsi verso la modernità, i nostri giorni invece hanno orizzonti diversi».
Sento un velo di nostalgia. E’ un passatista?
«Ma no, anzi. Io sposo la teoria di Nietzsche per cui non esiste una distinzione tra passato e futuro, è la teoria dell’eterno ritorno, dell’amor fati. Semplicemente le emozioni che volevo raccontare mi hanno portato a quegli anni, quando non si percepiva l’ansia di sentirsi periferia».
Ma la Sicilia non è periferia. E’ da sempre la metafora letteraria del Paese.
«Confermo, è una specie di costruzione allegorica attorno alla quale si giocano anche tutti i meccanismi della politica: pensiamo ai due capolavori “I vicerè” e “Il Gattopardo”, senza questi non avremmo gli strumenti per svelare il senso del trasformismo politico in Italia”.
Si riferisce alla politica di oggi?
«I vari Draghi, Letta, Di Maio si ritrovano in tutte le vicende già narrate in questi capolavori. D’altronde è questo il compito dell’arte, farsi carico della verità e svelarla».
E questo nuovo romanzo che cosa svela?
«L’intreccio tra nobiltà, trasgressione, memoria arcaica, passione e morte, sì perché la morte resta tra parentesi, ma in realtà è sempre presente, aleggia nell’aria come una potenza segreta, come un cavaliere che cavalca l’abisso».
Come il cavaliere che ha scelto come immagine del suo profilo social?
«Quello è una citazione da Venezia Istanbul di Battiato, D’Annunzio montò a cavallo con fanatismo futurista».
Torniamo al romanzo. Dominano la scena le donne.
«Hanno un ruolo fondamentale, una giovane principessa dal fascino inaudito e una suocera che corrisponde alla matriarca di una volta, entrambe determinanti. Mi piace l’idea di smontare il luogo comune che vuole la donna del passato votata a chissà quale tristo destino, erano invece donne potenti e forti. E sono rimaste tali. Questa storia è un precipitato alchemico dove si sovrappongono più piani, le cose che passano e le cose che restano, in nome di una libertà eccezionale».
Oggi non siamo liberi?
«No, non lo siamo perché è dominante l’incubo del pensiero unico, della cancel culture e del controllo totale, in una specie di totalitarismo del linguaggio, una neutralizzazione del tutto”.

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