(Adnkronos) – Casi di sepsi in crescita in Italia. “Alcuni studi hanno rilevato che il numero di certificati di morte che hanno riportato sepsi è aumentato da 18.939 nel 2003 a 49.010 nel 2015 (dal 3% all’8% di tutti i decessi registrati in questi anni)” fanno notare dal ministero della Salute, ricordando gli ultimi dati in occasione dell’undicesimo World Sepsis Day. “Nel mondo si verificano ogni anno circa 47-50 milioni di casi di sepsi, di cui solo il 20% avviene in ospedale. Globalmente un decesso su 5 è associato a sepsi, per un totale di almeno 11 milioni di decessi l’anno, pari a una morte ogni 2,8 secondi”. E “fino al 50% dei sopravvissuti” manifestano “effetti a lungo termine noti come sindrome post-sepsi”, con “sequele fisiche, cognitive e psicologiche persistenti. Il recupero può richiedere mesi o anni”. “La sepsi è un problema grave di salute pubblica, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – precisa il ministero – ma anche nel nostro Paese”.
Tecnicamente, secondo la European Society of Intensive Care Medicine (Esicm) e la Society of Critical Care Medicine (Sccm), per sepsi si intende “una disfunzione d’organo con pericolo per la vita, causata da una inappropriata risposta dell’ospite a una infezione. La sepsi si verifica in risposta a un’infezione, che danneggia tessuti e organi e che può portare a shock, insufficienza multiorgano e morte, soprattutto se non riconosciuta e non prontamente trattata. Alcune persone sono più a rischio di sepsi”, per esempio i pazienti “con malattie croniche a polmoni, fegato o cuore, le persone senza milza o con sistema immunitario indebolito, i bambini di età inferiore a un anno, gli adulti con più di 60 anni”. Ancora, “i pazienti affetti da malattie oncologiche hanno un rischio di sepsi 10 volte maggiore rispetto a pazienti non oncologici”.
“Il 40% dei casi di sepsi – prosegue il ministero – è rappresentato da bambini di età inferiore ai 5 anni. Nei Paesi industrializzati” la sepsi “può determinare la morte nel 3-4% dei neonati e fino al 24% dei neonati nati in Paesi in via di sviluppo. Ogni anno si verificano nel mondo circa 680mila decessi neonatali per sepsi, con un rischio particolarmente elevato in India, Pakistan, Nigeria, Congo, e Cina. La sepsi neonatale può portare inoltre a gravi manifestazioni cliniche, spesso associate a deficit irreversibili a lungo termine”. Tra i fattori di rischio il dicastero cita “il fumo, poiché aumenta il rischio di infezione respiratoria. Molti pazienti colpiti da sepsi – evidenzia il ministero – hanno bisogno di trasfusioni di sangue o di emoderivati. Pertanto, disporre di una riserva sicura di sangue è importante per la lotta alla sepsi”.
La Giornata contro la sepsi, spiega il ministero della Salute, punta ad “accrescere la consapevolezza pubblica sul problema, per migliorarne la prevenzione, il riconoscimento e la gestione clinica”.
Organizzazioni internazionali come l’Esicm e la Sccm, o la World Health Assembly (Wha) e la Global Sepsis Alliance (Gsa), rimarcano la necessità di “migliorare la prevenzione delle infezioni per contrastare la lotta alla sepsi mediante: la frequente igiene delle mani eseguita correttamente; l’applicazione scrupolosa delle misure di prevenzione e controllo delle infezioni (Infection prevention and control, Ipc) nei setting di cura; l’aggiornamento periodico del personale sanitario in materia di Ipc e infezioni antimicrobico-resistenti; la disponibilità di ambienti sicuri e puliti per il parto; l’uso delle vaccinazioni disponibili”.
“Recenti documenti – conclude il ministero – descrivono l’uso dei nuovi antibiotici per il trattamento della sepsi. Specifici biomarcatori possono essere utilizzati per la diagnosi precoce di sepsi neonatale”.