La scienza economica si fonda su poche e semplici leggi, prevalentemente di carattere empirico: tra queste la legge di Okun, definita dall’economista Arthur Melvin Okun all’inizio degli anni ’60, al tempo dell’egemonia keynesiana. La legge stabilisce una semplice correlazione, su base empirica, tra tasso di crescita del Pil (reale) e tasso di occupazione: un aumento del 2-2,5% del Pil riduce la disoccupazione di un punto.
Un keynesiano ortodosso come Okun sarebbe felice di poter verificare la solidità della sua legge applicata alle risorse del Pnrr, pari a 235,6 miliardi complessivi, circa il 13% del Pil, utilizzabili entro il 2026. Ciò che Okun non può più fare l’ha fatto uno studio di Bankitalia dedicato agli effetti occupazionali del Pnrr. Secondo le previsioni, nell’anno di massima spesa prevista, il 2024, l’occupazione generata dal totale dei fondi Pnrr sarebbe pari a 375.000, di cui il 79% nel settore privato. La maggior parte degli effetti si concentrerebbe nel settore delle costruzioni, con 95.600 posti di lavoro creati (il 25%). Altri 27mila posti sarebbero creati nel settore della programmazione informatica (7,2%) e altri 30.600 nel campo della gestione del personale (8%). La ricerca e sviluppo, settore strategico per la crescita competitiva del Paese, dovrebbe assorbire 16.600 lavoratori (4,42%).
Il settore industriale, nostro punto debole, creerebbe 22mila posti (5,8%) e quello informatico e ottico altri 12.700 (3,3%). Il settore turistico e alberghiero registrerebbe un incremento più contenuto pari a 7.710 unità (circa il 2%). L’andamento eterogeneo dipende dal fatto che le risorse del Pnrr privilegiano un numero limitato di settori, in particolare costruzioni e transizione digitale. Il quadro definito dallo studio di Bankitalia assume come costanti la composizione dei beni intermedi consumati, salari orari, ore lavorate, intensità relativa di produzione domestica e importazioni. Le cifre, quindi, potrebbero essere in realtà molto diverse per due ordini di motivi: la domanda di computer e di tecnologia digitale potrebbe rivolgersi verso il mercato estero, aumentando il volume di importazioni e traducendosi in beneficio netto per i lavoratori stranieri piuttosto che per gli italiani.
L’Italia è infatti fuori dal settore della produzione di computer da decenni. Un secondo motivo di correzione ex post delle cifre potrebbe derivare dalle condizioni dell’offerta di lavoro: difficoltà potrebbero nascere dalla scarsità di figure adeguate in grado di rispondere tempestivamente alle sollecitazioni della domanda. E questo è probabile che accada, dato lo scarso raccordo esistente tra sistema di istruzione e di formazione professionale ed esigenze della domanda di lavoro. Le uniche cifre occupazionali realistiche potrebbero essere quelle dei settori delle costruzioni e del turismo che attingono a manodopera prevalentemente di scarsa qualificazione. Se questa sarà la realtà degli effetti occupazionali del Pnrr, le risorse saranno servite solo parzialmente alla modernizzazione del Paese e l’intero piano, non accompagnato dalle necessarie riforme nella formazione, sarà ridimensionato a politica di sostegno congiunturale, più che volano per la crescita.
Rosario Patalano è economista
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