Nel sesto anniversario della strage di San Marco in Lamis, alla presenza delle autorità civili, militari e religiose, e con la partecipazione di don Luigi Ciotti, la vedova di Luigi Luciani – l’agricoltore ucciso insieme al fratello Aurelio – ha scritto una lettera al presidente Sergio Mattarella.
Di seguito il testo completo della missiva di Arcangela Petrucci.
Egregio presidente Mattarella,
nel sesto anniversario della morte di mio marito e di mio cognato ho deciso di scriverle una lettera e lo faccio pubblicamente perché sono stata educata ad assumermi la responsabilità di ogni singola parola che dico e scrivo, anche se questo potrebbe comportare non pochi disagi. Luigi e Aurelio avevano una lunga vita davanti, tanti progetti da realizzare e invece in pochi attimi tutto questo è stato distrutto, spazzato via.
Dalle mie parti, nonostante quello che è successo e che continua a succedere, c’è ancora chi minimizza o addirittura nega l’esistenza della criminalità asserendo che è una pura invenzione di magistrati e forze dell’ordine a cui va tutta la mia stima, solidarietà e sostegno per tutto il lavoro che svolgono, spesso sotto organico e con pochi mezzi a disposizione. Ma questo minimizzare la presenza della mafia, ho notato con grande dispiacere che non è circoscritto solo al mio territorio. Spesso si viene accusati di infangare il nostro Paese.
La nostra meravigliosa Italia, come lei ben sa, è una terra ricca di arte, di cultura di eccellenze, non è una terra mafiosa. Però in Italia la mafia esiste, distrugge e brutalizza tutto ciò che tocca. E chi sporca l’immagine della nostra bella Italia sono i mafiosi, i corrotti, coloro che pensano che con la prepotenza e la violenza possono ottenere tutto quello che vogliono, non chi quotidianamente denuncia tutta la sporcizia che ci circonda.
Ecco perché oggi il mio pensiero va a tutti quei magistrati che da anni sono costretti a vivere sotto scorta non potendosi concedere più il lusso di vivere una vita normale. A quei preti che, come don Peppino Diana e don Pino Puglisi, sempre presenti là dove lo Stato è assente o fa finta di non vedere e di non sentire. Il mio pensiero va a tutti quegli uomini e quelle donne che animano l’antimafia sociale, a chi crede ancora nell’importanza di sostenere ed educare soprattutto i giovani alla legalità. E va a noi, ai familiari delle vittime innocenti delle mafie, e a tutti coloro che portano ovunque la loro testimonianza per sensibilizzare l’opinione pubblica e forse, anche se può sembrare un’illusione, far riflettere e far retrocedere chi impugna un’arma e spara.
Alle volte penso che l’unico diritto che si ha è quello di piangere i propri cari che non ci sono più. Perché, presidente, chi esprime una propria opinione, parere, consiglio, dubbio o perplessità, diversa da chi di volta in volta ci governa, viene messo alla gogna, magari sui social, cosa che penso succederà anche a me dopo questa lettera. Però, cascasse il mondo, “Prima gli italiani” o “Gli italiani sono i nostri datori di lavoro”. Quanta ipocrisia! La cosa più triste è che a volte a lanciare una campagna di odio contro qualcuno è proprio chi dovrebbe rappresentarci, tutelarci, sostenerci e dare il buon esempio.
Mi creda, signor presidente, letteralmente “offrirei” la mia vita se mio figlio (che all’epoca della tragedia aveva solo 11 mesi) oggi potesse trascorrere un solo giorno con suo padre, per raccontargli il suo primo anno di scuola, andare insieme in bici, assaporare un suo abbraccio e anche se per una volta soltanto potesse guardarlo negli occhi e chiamarlo ”papà”. La realtà, invece, è che a ogni ricorrenza mio figlio puntualmente salta su uno sgabello per guadare meglio la foto di suo padre incorniciata e posta su di un mobile per fargli gli auguri di buon compleanno, cantargli le canzoni di Natale, di Pasqua, augurargli una serena notte.
Presidente Mattarella, sono così stanca, negli ultimi sei anni mi sembra di aver vissuto così tante vite che a volte non so più io chi sono e cosa devo fare. Ma oggi ancora una volta ad alta voce chiederò verità e giustizia per i miei cari e senza nessuna esitazione ribadirò ciò che anni fa è stato detto da Peppino Impastato: “La mafia è solo una montagna di merda”.