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Russia, migranti da Asia Centrale schiacciati dalla mobilitazione

(Adnkronos) - I tre soldati tagiki autori della strage nella caserma di Soloti, a Belgorod non sono le uniche reclute di etnia non russa. La loro mobilitazione è il risultato di una politica che mira in particolare ai migranti residenti in Russia. Il 20 settembre scorso, alla vigilia dell'annuncio, da parte di Vladimir Putin, della…

(Adnkronos) – I tre soldati tagiki autori della strage nella caserma di Soloti, a Belgorod non sono le uniche reclute di etnia non russa. La loro mobilitazione è il risultato di una politica che mira in particolare ai migranti residenti in Russia. Il 20 settembre scorso, alla vigilia dell’annuncio, da parte di Vladimir Putin, della mobilitazione parziale, il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin aveva già pronta la notizia dell'”apertura di uno sportello al centro migranti di Sakharovo per assistere il ministero della Difesa a organizzare l’ingresso nel servizio militare di stranieri”.  

La scelta è quella di mobilitare, soprattutto nelle grandi città come Mosca e San Pietroburgo, i lavoratori più deboli, gli immigrati provenienti da Paesi dell’Asia Centrale (Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan), sia coloro che hanno già ottenuto la cittadinanza, quindi russi e reclutabili a tutti gli effetti, sia chi ne è ancora alla ricerca, a cui può essere promesso il passaporto con procedura accelerata e semplificata in cambio della mobilitazione “con le forze armate o in altre forze o formazioni militari”, quindi le milizie separatiste o la Wagner, come recita un disegno di legge in esame alla Duma.  

Una politica, quella russa, che aveva previsto l’Institute for the Study of War di Washington. A essere reclutati “in modo sproporzionato”, aveva scritto un analista del think tank americano, saranno “migranti e persone di etnia non russa”, insieme agli abitanti delle regioni più povere della Federazione, come la Buriatia. L’esponente del Consiglio per i diritti umani del Cremlino, Kirill Kabanov, ha proposto che il servizio militare sia reso obbligatorio per i migranti che hanno ricevuto, negli ultimi dieci anni, la cittadinanza russa, minacciando la confisca del passaporto russo se non accettano i essere mobilitati. 

Per le centinaia di migliaia di migranti arrivati in Russia dai Paesi dell’Asia centrale che sono riusciti in questi anni a ottenere la cittadinanza doppia dopo l’annuncio della mobilitazione la scelta difficile è fra tornare a casa, senza lavoro e denaro, unendosi al flusso dei russi più abbienti di loro in fuga, o rischiare di essere reclutati e mandati al fronte in Ucraina.  

Ogni anno, centinaia di migliaia di cittadini dei Paesi dell’Asia centrale emigrano nelle grandi città russe per lavorare, soprattutto nell’edilizia o in altri lavori pesanti che i russi non vogliono più fare. Nel secondo trimestre di quest’anno sono stati 1,54 milioni.  

Russia e Tagikistan, per esempio, hanno concordato la possibilità di mantenere la doppia cittadinanza a metà degli anni Novanta. Di recente, Mosca ha facilitato la concessione della cittadinanza per compensare il declino demografico e della forza lavoro. Solo nel 2021, sono stati più di 103mila i tagiki a ottenerla, rispetto ai circa 5mila l’anno che ci riuscivano fino al 2017. Sempre lo scorso anno, erano più di tre milioni i tagiki registrati in Russia, la maggior parte dei quali per lavoro.  

Più complessa la situazione per il milione di kirghisi che si trova in Russia, la metà dei quali ha la doppia cittadinanza. L’ambasciata ha diramato un avviso in cui precisa che chi ha i due passaporti quando risiede in Russia viene considerato cittadino russo a tutti gli effetti e quindi può essere inviato al fronte. Anche se poche ore dopo l’annuncio di Putin del 21 settembre, aveva diramato una nota in cui spiegava che chi combatteva in un Paese straniero era da considerarsi mercenario e quindi rischiava una condanna, in Kirghizistan, fino a dieci anni di carcere (lo stesso ha fatto il procuratore generale uzbeko). La contraddizione è stata sciolta il 23. Una portavoce della sede diplomatica ha detto che “secondo la legge ferale russa sulla migrazione, i cittadini kirghisi che hanno ottenuto anche la cittadinanza russa, sono considerati solo cittadini russi”.  

Rashid, di origine tagika come i tre autori della strage della caserma di Belgorod, è uno dei migranti stretto fra due scelte difficili. “La nostra vita qui è relativamente confortevole, malgrado il razzismo e la corruzione. Se torno in Tagikistan, dovrei andare a vivere con i miei genitori. Ma ho paura di essere inviato in guerra. Non so proprio cosa fare”, ha spiegato in una intervista a Radio Free Europe il giovane uomo, che dal 2019 risiede con la moglie e il figlio appena nato a Kazan, dove due anni prima si era laureato in informatica. Appena laureato aveva provato a tornare a casa, ma non aveva trovato un lavoro compatibile con la sua laurea. E si era ridotto a lavorare in un negozio di telefonini per l’equivalente di 90 euro al mese. 

Un suo connazionale di 28 anni, poche ore dopo essere stato richiamato per la recluta è fuggito, insieme a diversi altri tagiki nella sua stessa condizione, in Kazakistan e da qui in Tagikistan. Ora teme di perdere la sua cittadinanza, oltre che la possibilità di “un futuro migliore”. Ma su chi fugge pende ora in Russia anche il rischio di una condanna a dieci anni di carcere. 

Furqat Aminjonov, 34 anni, operaio, ha ricevuto il permesso di soggiorno, primo passo per il passaporto, il mese scorso. Insieme a lui, la sua famiglia di quattro persone. “Da un lato voglio ricevere il passaporto, che è così importante in modo particolare per i miei figli. Dall’altro, ho paura di essere inviato in guerra in Ucraina appena me lo concedono”.  

I kirghisi che risiedono in Russia “sono assaliti dal panico, in modo particolare i giovani”, ha testimoniato l’imprenditore e leader della comunità kirghisa in Russia, Azamat Adylgaziev, precisando che molti di coloro che lasciano il Paese sono quelli che hanno già ottenuto il passaporto russo (circa 500mila). Per gli altri, l’offerta della mobilitazione in cambio della cittadinanza è invece un’offerta da considerare.  

L’ex Premier kirghiso, Feliks Kulov, ha chiesto al governo di agire per aiutare 500mila compatrioti già in possesso del passaporto russo e quindi a rischio di essere mobilitati. Il Kirghizistan non riconosce la doppia cittadinanza, così come l’Uzbekistan, anche sei di fatto in molti riescono a mantenere i due passaporti. Il Tagikistan ha ricordato, in un comunicato, la “responsabilità penale” per i cittadini che partecipano ad attività militari all’estero, come lo ha fatto il Procuratore generale uzbeko.  

Intanto, le vittime tagike e kirghise in combattimento in Ucraina sono già molte, anche se è difficile quantificarle. Di recente, due uzbeki residenti a Mosca sono stati catturati dagli ucraini mentre combattevano con l’uniforme russa nella regione di Kharkiv. Sabato sono stati uccisi due dei tre tagiki che Belgorod avevano aperto il fuoco e provocato una strage fra i russi. Il Presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon aveva da poco lamentato, parlando con Putin ad Astana, la mancanza di rispetto per i Paesi dell’Asia centrale da parte del Presidente russo, chiedendo investimenti da parte di Mosca anche per il lavoro svolto, aveva detto, da tutti gli emigrati. Il video del suo intervento è stato visto 4 milioni di volte sui social. Forse anche dai tre autori della strage. . 

 

 

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