Mario Desiati è tra i dodici finalisti del Premio Strega 2022 con “Spatriati” edito da Einaudi. 44 anni, un amore viscerale per Martina Franca, la città dove è cresciuto, potrebbe essere il terzo scrittore pugliese ad aggiudicarsi il più importante riconoscimento letterario italiano. L’ultimo a centrare il successo è stato l’autore barese Nicola Lagioia nel 2015 con “La ferocia”, prima di lui c’era riuscita, nel 1995, l’attivista politica foggiana Mariateresa Di Lascia con “Passaggio in ombra”.
“Spatriati”, “spatrièt?” con la e muta, in dialetto martinese significa “spatriato“, una parola che racconta molto se non tutto. Nel dizionario “La parlata dei martinesi e altri ricordi” di Giuseppe Gaetano Marangi, avvocato e cultore delle tradizioni locali, il termine non ha un senso ben definito. Il verbo è l’equivalente di spatriare, disperdere, dividere, allontanare, sparpagliare. L’aggettivo, invece, corrisponde a disperso, ramingo.
Mario Desiati chi sono quindi “gli spatriati”?
«“Spatrièt?” lo lessi la prima volta nel dizionario martinese-italiano scritto da Giuseppe Grassi, sacerdote e studioso, poi ovviamente in quello di Marangi. È una parola che abbiamo usato molte volte con un’accezione particolarissima: non sei come quello che dovresti essere. Che poi avesse la scwha finale, tipico suono neutro di molti dialetti meridionali che priva di genere e numero dà anche idea di come il dialetto martinese possa considerarsi in tempo di dibattito sulla grammatica inclusiva, al passo col tempo».
Francesco e Claudia sono i protagonisti della sua storia: si incontrano e tra loro nasce un rapporto speciale, poi lei decide di trasferirsi a Milano e successivamente a Berlino. Chi sono e cosa cercano? Quali interrogativi si pongono?
«Viaggiano in tempi e in modi diversi con la loro identità. L’identità non è un aspetto di noi stessi immutabile, ma si evolve, struttura, deforma con l’esperienza, le letture, gli incontri. Direi che loro non scappano da nulla, ma sono alla ricerca di un’identità nuova, rispetto a quella che sembra essere imposta dagli altri».
Nella biblioteca di Claudia oltre a “Passaggio in ombra” di Di Lascia ci sono “La malapianta” di Rina Durante e “Analisi di famiglia” di Maria Marcone.
«Maria Marcone, una nostra grande autrice pugliese scriveva nel suo capolavoro “Analisi in famiglia” di un personaggio che aveva la visione di essere circondata da gente con i cordoni ombelicali marciti e atrofizzati, ostinata a portarseli dietro timorosa di reciderli e spaventata di morire. Claudia e Francesco “spatriano” recidendo quei cordoni ombelicali. E non è uno spatriare geografico, ma quasi spirituale».
Dalla Puglia e da Martina Franca in particolare i giovani scappano per mancanza di opportunità. E non solo. Il disagio di vivere nel posto in cui siamo nati e cresciuti è una percezione senza tempo. Ma c’è chi resta, chi decide di tornare e chi arriva per fermarsi. E lei, appunto, ne parla anche come terra di approdo.
«È un tema su cui ho sempre lavorato da quando ero giovanissimo, essendo stato una persona inquieta. Quindici anni fa scrissi un piccolo racconto chiamato “Foto di classe” che indagava proprio le ragioni di chi andava via. Accanto alle ragioni economiche premevano e premono ancora oggi quelle esistenziali».
Alessandro Piperno afferma che «qualcosa allo stesso tempo di magico e sinistro nel pezzo di Puglia dove nascono, vivono e soffrono» i tuoi personaggi, «quasi tutti provenienti dalla piccola borghesia rurale. Rivelano – sottolinea lo scrittore romano – un’inquietudine fatta di slanci romantici e appetiti sessuali, da un amore complicato per la terra d’origine e un desiderio altrettanto complesso» di fuggire verso città smisurate, violente e inospitali. Paragona gli “spatriati” ai «marinai scordati su un’isola» della poesia di Baudelaire.
«È una parte della sua presentazione al Premio Strega. Gli sono grato perché ha speso parole molto belle, e mi ha divertito molto l’uso della locuzione di “borghesia rurale” che è quasi un gioco ironico tra lui e me sulle nostre origini».
Nel libro menziona Franco Cassano, l’intellettuale gentile del “pensiero meridiano” scomparso poco più di un anno fa. «Il confine non è un luogo dove il mondo finisce, ma quello dove i diversi si toccano», scriveva rimarcando l’importanza dello spazio.
«È un perno della mia formazione intellettuale, come tante scrittrici e scrittori pugliesi da Claudia Ruggeri a Maria Marcone, da Rina Durante a Mariateresa Di Lascia. A vent’anni, da studente di Giurisprudenza organizzavo le giornate in facoltà per assistere alle sue lezioni che si tenevano nelle aule del pian terreno in piazza Cesare Battisti. Cassano ci ha permesso di guardare la nostra terra come un’opportunità e non uno svantaggio».