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Referendum 2022, Mannino: “Io malato in cella e assolto dopo 300 udienze voterò 5 sì”

(Adnkronos) - "Io domenica andrò a votare a Sciacca, mio comune di residenza, e voterò cinque sì per il referendum sulla giustizia. Uno, in particolare, mi sta più a cuore, il secondo quesito, quello che riguarda la carcerazione preventiva, e ne parlo con cognizione di causa.... Il sì ha una immediata ricaduta sul punto fondamentale…

(Adnkronos) – “Io domenica andrò a votare a Sciacca, mio comune di residenza, e voterò cinque sì per il referendum sulla giustizia. Uno, in particolare, mi sta più a cuore, il secondo quesito, quello che riguarda la carcerazione preventiva, e ne parlo con cognizione di causa…. Il sì ha una immediata ricaduta sul punto fondamentale della crisi del processo: la prova. Tu non mi puoi mettere in galera per un semplice sospetto. Lo puoi fare per i reati contro le persone”. A parlare, in una intervista all’Adnkronos, è l’ex ministro Dc Calogero Mannino. L’ex politico venne arrestato il 13 febbraio del 1995, su ordine di custodia firmato dal gip di Palermo, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il giudice aveva motivato il provvedimento con il pericolo di depistaggi nelle indagini. Rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia, si ammalò gravemente fino ad arrivare ad uno stato di deperimento che lo portò alla scarcerazione. Ci sono voluti anni e anni di processi. Alla fine Mannino fu assolto da tutte le accuse.  

Il primo processo, quello poi conclusosi con l’assoluzione, fu tra i più lunghi mai celebrati: più di 300 udienze, 400 testimoni citati, dei quali 250 dall’accusa e 150 dalla difesa, compreso l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, 25 pentiti, da Tommaso Buscetta a Gioacchino Pennino, da Giovanni Brusca a Angelo Siino, che lo accusarono di essere uno dei referenti di Cosa nostra. L’assoluzione mise fine a una vicenda giudiziaria che gli costò poco meno di due anni di carcere e la fine di una carriera politica. Oggi Mannino, parlando del referendum, spiega: “I quesiti sono formulati in modo tale che si capisce esattamente il contrario di ciò che si vuole dire”.  

E parlando ancora del quesito sulla carcerazione preventiva, ribadisce: “Ne parlo con cognizione di causa, la devi stabilire solo per alcuni delitti, la cui portata è di assoluta gravità”, e parlo di “delitti contro le persone, al limite contro le cose. Per tutti gli altri reati, ad esempio contro la pubblica amministrazione oppure il traffico di influenza… Come fai a fare la galera su questo? Inoltre, voglio ricordare che solo in Italia c’è questo tipo di carcerazione preventiva che viene ipotizzata”. Ma cosa prevede esattamente il secondo quesito, la scheda arancione? Verrà chiesto di limitare le misure cautelari, con abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale in riferimento alla parte in cui consente di portare in carcere una persona sotto processo, se vi è il rischio che possa commettere un reato della stessa specie di quello per cui si procede. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e cosa significa. 

Poi, Calogero Mannino ricorda un episodio di quando era ministro. “Ne parlavo, in Consiglio dei ministri, con Giuliano Vassalli, che era ispirato a una logica garantista, ma la norma di Vassalli è stata usata nel modo più capovolto possibile rispetto a quelle intenzioni garantiste”. “Sulla carcerazione preventiva ci sarebbe da fare un discorso limpido, serio, che poi è il discorso che investe tutto il processo: la prova. La prova acquisita e non la prova da cercare”, dice.  

Mannino ricorda, poi, alcuni momenti del suo processo: “A ogni udienza il pm arrivava con nuovi verbali. Ma non dovevano portarli prima”. E aggiunge: “Io sono andato in galera per le dichiarazioni del collaboratore Gioacchino Pennino, che votava per me. Quando è venuto in aula il presidente del Tribunale gli chiese ‘Lei per chi votava’ E lui rispose: ‘Per Pumilia, per Ruffini, Ruffo, Alberto Alessi, Sinesio, e Mannino’. E il presidente gli disse: ‘Ma le preferenze non erano quattro? Questi sono sei’ e Pennino gli rispose: ‘Sì, ma io li facevo girare’. Questo dimostra che Pennino era uno che prendeva in giro l’umanità. Poi il Presidente disse: ‘Perché votava per Mannino?’ e lui: ‘Per chi dovevo votare? P’aranci in tierra (per le arance a terra ndr)? Che significa Io votavo per uno che sarebbe diventato Presidente del consiglio. Tutti parlavano della sua intelligenza’. Finì a risata ma intanto Pennino mi ha fatto fare due anni di galera”.  

“Caselli continuava a dire che Pennino votava per Mannino, ma quando il Presidente della Corte gli chiese se avesse mai avuto dei favori da Mannino, Pennino rispose: ‘No, mai’. Quindi anche il sinallagma voto mafioso con scambio non ha avuto esito… Qua ci sono reati falsi, falsi nel loro fondamento, che non possono avere prova. Come fai a stabilire che Pennino votava per me per una ragione mafiosa”. 

Parlando poi ancora del referendum di domenica, Calogero Mannino, spiega: “Tutti questi quesiti pongono delle domande veritiere. Ha fatto un lavoro egregio Sabino Cassese, che li ha spiegati in tutti gli aspetti. Sarebbero dei referendum da votare perché poi il parlamento ci torni sopra, ma con coraggio e coerenza, perché ora bisognerà affrontare il problema”. 

Mannino lamenta che “la gente è rimasta totalmente insensibile ai referendum”. “Dobbiamo cominciare a prendere atto che larga parte della societa italiana è lontana dalla politica”, dice, sottolineando che “la politica a cui le persone sono sensibili è la politica che ha altre sedi, altri fori: qui dobbiamo mettere in primo luogo il telefono, purtroppo, perché ormai c’è una rete di comunicazione incredibile. Parlo dei vari strumenti, whatsapp, Instagram etc. E in questo foro la politica ha solo una dimensione: il risentimento. Il risentimento, e addirittura la rabbia. Le cause sono molteplici, dipendono dall’istruzione, dalla formazione… Le grandi scuole che ci sono state in Italia, cioè la chiesa cattolica e il Partito comunista, hanno chiuso bottega. Nel foro ci sono quindi solo gli incazzati. C’è disprezzo per la politica. Se oggi avessi 18 anni e volessi ricominciare da capo non la farei più. Ti esponi soltanto a una pregiudiziale di disprezzo. E allora non c’è neanche la riflessione. Una delle ragioni dell’affermazione di questo foro esterno alle istituzioni è che la gente vuole partecipare. Ma quale strumento migliore di partecipazione che il referendum? In termini di principio il referendum è uno strumento di democrazia partecipata. E mentre invochi una politica partecipata rifiuti l’unico strumento che c’è, il referendum”. (di Elvira Terranova) 

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