Mariarita Costanza, cofondatrice dell’azienda pugliese di information technology Macnil, non si butta giù leggendo i dati sulla disoccupazione femminile diffusi negli scorsi giorni da Eurostat. Cifre che relegano le regioni meridionali in coda alla classifica continentale.
Dottoressa, quanto devono preoccuparci livelli così bassi di occupazione femminile?
«Per quando la notizia possa sembrare poco positiva leggo comunque un progressivo margine di miglioramento e questo è un buon segnale, significa che qualcosa sta cambiando, seppur lentamente».
In sostanza continuiamo ad avere una Italia che viaggia a due velocità.
«È vero, la crescita è molto lenta e guadagniamo poco terreno rispetto alle regioni del Nord, soprattutto con l’Europa. Nei fatti questo è un confronto che non può reggere perché parliamo di una differente struttura economica per non parlare di quella culturale. Quando ci si approccia a studi o indagini è sempre importante analizzare i dati in relazione ai territori di appartenenza. In Puglia abbiamo una eredità culturale molto forte con una immagine della famiglia altrettanto radicata che si sta evolvendo. Dobbiamo solo fare in modo che il processo non si fermi».
Si sta facendo molto anche dal punto di vista comunicativo. Non è sufficiente?
«A livello nazionale si sta facendo un ottimo lavoro di sensibilizzazione sul tema della disoccupazione femminile, sulla genitorialità e sulle pari opportunità. Finalmente anche le istituzioni, Regioni e Comuni, hanno assunto una posizione avviando politiche pensate ad hoc. Adesso però è necessario evolversi nell’affrontare il tema perché parlare esclusivamente di “quote rosa” è un modo di pensare che ci limita».
Perché?
«La questione numerica è stata un step importante, quantomeno per sdoganare la presenza femminile in tutti i luoghi di lavoro. Adesso però bisogna fare il passo successivo e incentivare la presenza di “donne pensanti”. Le aziende pubbliche e private devono metabolizzare che la diversità, soprattutto nei board, è assolutamente un valore e sarebbe un peccato privarsene».
Quali sono le maggiori difficoltà dal punto di vista femminile quando si decide di puntare sulla carriera?
«Un vecchio retaggio culturale ci porta a pensare che si debba fare una scelta tra famiglia e lavoro. Questa è in parte una questione ricorrente, l’essere abituati a pensarla così certamente ha un peso. È anche vero che ci muoviamo in una società in cui ancora si ha poco cura per la tutela della famiglia. Migliorare, ad esempio, la qualità e la quantità delle scuole potrebbe essere positivo. C’è ancora un’enorme distanza da colmare in termini di domanda e offerta quando si parla di asili nido. In Puglia siamo ben al di sotto della media nazionale figuriamoci di quella europea. Anche qui abbiamo un dato in crescita ma ancora molto lontano dagli obiettivi Ue, che recentemente ha innalzato la soglia da 33 a 45 per cento di bambini che devono poter accedere al network di educazione per la prima infanzia».
Ci sono esperienze aziendali o nazionali che possiamo utilizzare come modello?
«Il Nord Europa avrebbe tanto da insegnarci sul tema. È anche vero che abbiamo strutture sociali, economiche e soprattutto culturali completamente differenti. Bisogna capire quanto, determinati sistemi, attecchirebbero sul nostro territorio. Adottare dei modelli è complesso di per sé perché i punti di partenza sono differenti. I piccoli miglioramenti dimostrano che siamo sulla strada giusta. Certo continuare sempre più a stimolare il comparto femminile a non pensare in maniera limitante, ma credere nelle proprie potenzialità, è determinante. Spesso, schiacciate dalle preoccupazioni, ad esempio per figli e famiglia, attiviamo dei veri e propri meccanismi di de-potenziamento. Lavorare sulle nuove generazioni su questo è fondamentale. Partire quindi dalle prime classi per avviare un percorso di consapevolezza su bambine e bambini potrebbe essere un buon inizio».