(Adnkronos) – “Come in mare ha prevalso la logica di polizia e difesa dei confini su quella del soccorso delle persone in pericolo, in terra prevale la logica del confinamento e della punizione di chi emigra sul rispetto dell’umanità”. I sopravvissuti del naufragio, tra cui donne e bambini, sono tenuti “in un hotspot improvvisato. Una piccola Lampedusa anche per loro. Con letti improvvisati, panchine per dormire e donne e bimbi sistemati nella stessa area degli uomini”. E’ la denuncia di Alessandra Sciurba, docente universitaria palermitana, giurista, che da venerdì a ieri è stata a Crotone con una parte della clinica legale Migrazioni e diritti dell’Università di Palermo e con altre associazioni. “Non sapevo se avesse senso venire, se potessimo essere utili. E invece è stato importantissimo farlo – racconta prima di lasciare Crotone – Qui serve tutto. Ben oltre la commozione e le visite brevi delle istituzioni”.
“Abbiamo aiutato noi, per due giorni, le brave assistenti sociali del Comune di Crotone a compilare i moduli per il rimpatrio delle salme. Un tavolino a poca distanza dalle bare per chiedere a papà che hanno perso la moglie e i figli, a figlie che hanno perso la madre, a fratelli che hanno perso una sorella e i suoi bambini di pochi anni, dove desiderassero che quei corpi venissero infine portati”, dice Sciurba.
“Moltissimi chiedono che le salme tornino in Afghanistan, nonostante siano fuggiti proprio dal regime dei talebani, e bisogna trovare il modo, anche se è difficile e può essere pericoloso proprio per queste famiglie, di dare dignità almeno a questo desiderio”, aggiunge ancora Alessandra Sciurba. “Ma non ci sono notizie sui fondi destinati al trasporto di questi corpi. Non ci sono informazioni certe su nulla. Le famiglie arrivate da ogni dove sono confuse, frustrate, disperate”.
“I ragazzi e le ragazze dell’associazione Sabir di Crotone fanno tutto quello che possono – dice ancora la docente -. Così come i sommozzatori e tutte le squadre che ancora continuano nella ricerca dei corpi, certamente più di 30, che sono ancora dispersi”. Domenica pomeriggio Alessandra Sciurba è stata sulla spiaggia di Steccato di Cutro, “con queste madri e padri e nonni e figli e fratelli e sorelle di chi non ce l’ha fatta, cercavamo di spiegare come sia stato possibile”. “Ma le parole mancano – dice -. E la certezza che questo paese abbia delle colpe imperdonabili ti toglie il fiato quando scopri, come è successo a noi, entrando dentro il Cara di Crotone prima col Comune e poi con l’Onorevole Franco Mari, dove sono stati collocati i sopravvissuti”.
“I superstiti delle famiglie spezzate di cui tutta Italia ha pianto la tragedia, sono reclusi in due capannoni antistanti al centro, due magazzini – dice -. Un hotspot improvvisato con la metà dei letti che servirebbero, gli altri dormono sulle panche. Donne e minori in mezzo agli uomini adulti. Il bagno in comune. Le pareti scrostate, nessun riscaldamento. Niente lenzuola. Niente scarpe chiuse. Nemmeno la possibilità, essendo confinati lì se non per poche uscite programmate e scortate, di restare accanto alle bare e ai parenti venuti qui a Crotone da lontano per identificare e piangere i morti. Ed è difficile rispondere mentre chiedono come potere superare le rigidità insensate delle leggi europee che gli vietano di seguire le salme dei loro cari nei casi in cui queste verranno portate in altri paesi UE dove si trovano familiari partiti prima di loro”. “Oltre alla verità e alla giustizia sulla morte delle loro famiglie, è loro negata adesso, in terra italiana, anche la dignità delle vittime”.