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Messina Denaro, nei pizzini a Provenzano il suo ‘testamento’

(Adnkronos) - "Io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò". Gli ossequi e la "fratellanza", con i linguaggi tipici della mafia, in cui vige il "rispetto delle regole". E poi…

(Adnkronos) – “Io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò”. Gli ossequi e la “fratellanza”, con i linguaggi tipici della mafia, in cui vige il “rispetto delle regole”. E poi la consapevolezza di appartenere a un mondo in cui ‘’non c’è felicità’’. Dai pizzini scritti tra il 2003 e il 2006 da Matteo Messina Denaro e ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano emerge il ‘profilo’ del boss catturato la scorsa settimana dopo oltre 30 anni di latitanza. Una decina di messaggi che Adnkronos ha rimesso in fila e che oltre ad aver contribuito alle indagini di questi anni, delineano la figura dello stragista di Castelvetrano. 

“I soldi non sono tutto” perché “si può essere uomini senza una lira e si può essere pieni di soldi ed essere fango” scrive Messina Denaro in uno dei pizzini firmandosi “suo nipote Alessio”. Sul fronte opposto, le indagini di magistratura e forze dell’ordine che cercano di fare terra bruciata attorno a ‘Cosa Nostra’. “Purtroppo non posso aiutarla perché a Marsala al momento non abbiamo più a nessuno, sono tutti dentro, pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi” spiega il boss in un messaggio a ‘Zio Bernardo’, ricercato per 40 anni e catturato l’11 aprile 2006 in una masseria a Montagna dei Cavalli vicino a Corleone dopo le indagini degli investigatori guidati da Renato Cortese, allora a capo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo e dai magistrati Michele Prestipino, Marzia Sabella e Giuseppe Pignatone.  

Provenzano, con già una decina di ergastoli sulle spalle, ritenuto mandante delle stragi più atroci, da quella di Capaci a quella di via d’Amelio, nel 1992, in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e degli attentati ‘politici’ del ’93, con le autobombe a Firenze, di Roma e Milano, viene trovato in un rifugio, arredato in modo spartano, in cui c’è anche una macchina da scrivere con la quale scriveva i suoi pizzini. 

Si leggono parole come “onestà” e “comprensione” scorrendo i messaggi scambiati fra gli stragisti, parole che suonano grottesche davanti agli omicidi commessi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia. E poi gli auguri a poche settimane da Natale e a pochi mesi dalla cattura di Provenzano, a cui Messina Denaro si rivolge così: “spero che per lei e i suoi affetti sia un annuo nuovo migliore”.  

Per Messina Denaro, ‘zio Bernardo’ è “il garante di tutti e di tutto” che si adopera “per l’armonia e la pace per tutti noi” e per questo inizia a scrivergli, per esporgli un problema ‘personale’ che era nato fra un uomo a lui vicino – “il mio paesano” nei pizzini, ovvero il ‘re dei supermercati Despar – che aveva ricevuto richieste di pizzo da un altro mafioso. “La ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema” scrive Messina Denaro chiudendo tutti i pizzini manifestando la sua vicinanza e amicizia per Provenzano: “Lei è sempre nel mio cuore e nei miei pensieri, se ha bisogno di qualcosa da me è superfluo dire che sono a sua completa disposizione e sempre lo sarò. La prego di stare sempre molto attento, le voglio troppo bene”. 

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