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Mari e Monty: la Manifattura rinasce anche con l’aiuto del Fai

Che belle le Giornate Fai di primavera. Dovrebbero durare di più. Perché, diranno alcuni, cosa fanno di così speciale? Fanno, fanno, fidatevi. E con quello “slogan” sembrano invitare anche tutti noi a fare la propria parte, come è giusto che sia. Il Fondo Ambiente Italiano (questo il nome completo) è da anni una solida realtà…

Che belle le Giornate Fai di primavera. Dovrebbero durare di più. Perché, diranno alcuni, cosa fanno di così speciale? Fanno, fanno, fidatevi. E con quello “slogan” sembrano invitare anche tutti noi a fare la propria parte, come è giusto che sia.

Il Fondo Ambiente Italiano (questo il nome completo) è da anni una solida realtà del nostro stivale e si è confermato tale anche lo scorso weekend, aprendo le porte a luoghi inaccessibili o poco conosciuti in circa 400 città. Una attività meritoria che prosegue sin dal 1993 e che sinora ha portato circa 11mila cittadini a familiarizzare maggiormente con le bellezze del proprio patrimonio storico, artistico e naturalistico, contribuendo a rafforzare i valori del vivere civile e ad alimentare la giusta sete di conoscenza intorno all’ambiente circostante.
Sono stati 42 gli appuntamenti in Puglia quest’anno, con numerose città coinvolte, quali per esempio Bari, Altamura, Conversano, Giovinazzo, Gravina, Molfetta, Monopoli, Noci, Brindisi, Manduria, Foggia, Lecce, Gallipoli, Monopoli, Spinazzola, Lucera, Taranto e Grottaglie. Sperando di non averne dimenticata qualcuna nella fretta.
Chi scrive si è recato a Bari, alla ex Manifattura dei Tabacchi, un luogo storico che sinora avevo conosciuto soltanto per il mercato rionale presente in una sua parte e che mi ha alquanto sorpreso, permettendomi di apprendere tanti particolari ignoti. Merito anche delle giovanili guide che, grazie anche alla loro freschezza, hanno rispolverato notizie che sembravano ormai abbandonate per sempre. L’ampissimo edificio, creato nel 1913, riusciva a produrre – pensate un po’ – circa 600mila chili annui di tabacco. Numeri davvero impressionanti per l’epoca, se si considera anche che non vi potevano essere chissà quali macchinari a quei tempi e che gran parte del lavoro era svolto dalle circa 900 operaie presenti. Sì, operaie, avete letto bene, perché, a quanto pare, le donne con le loro mani più delicate si rivelavano particolarmente utili nella lavorazione delle piante di tabacco.
Una “fabbrica” che, a partire dalla chiusura degli anni Ottanta (quando, vuoi per la difficoltà dei tir di muoversi nelle strette strade cittadine e vuoi per le continue immissioni di fumi e odori, fu preferibile il trasferimento nella zona industriale) sino a oggi era rimasta inaccessibile e – diciamola tutta – quasi dimenticata, ma su cui v’è tuttora un grande fermento. Perché la “Invimit sgr S.p.A.”, attuale proprietario del compendio immobiliare, ha individuato nel Consiglio nazionale delle risorse l’utilizzatore più appropriato dello stesso, nell’ottica della riqualificazione e rifunzionalizzazione di quest’ultimo. E, quindi, tra qualche anno, a lavori di restauro terminati, probabilmente passeremo di nuovo davanti al quartiere Libertà e ci ricorderemo di quel giorno in cui tutti quanti, passando davanti a quella gloriosa ciminiera e a quel maestoso edificio, dicevamo tutti «quello era un posto abbandonato. Andrebbe rivalutato».

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