“Un’eccezionale ecletticità criminale, una straordinaria capacità organizzativa delle fila di ogni attività illecita curata nell’interesse del sodalizio, una indiscutibile capacità di assolvere funzioni di raccordo tra i diversi livelli della struttura associativa”.
Così la gip Antonella Cafagna descrive la figura di Raffaella Giordano, 36 enne figlia di uno dei fulcri dell’associazione criminale, Francesco, lei stessa fulcro, ai domiciliari per associazione di stampo mafioso, finalizzata al riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, appropriazione indebita, estorsioni, utilizzo abusivo di carte di credito.
Per la gip che ha firmato la maxiordinanza, la giovane donna presenta “una notevole attitudine di coordinamento in rapporto alle attività da gestire in comune con altri gruppi organizzati anche a carattere transnazionale (i sodalizi dei fratelli Marotta e della Klecherova), in un incessante lavoro quotidiano di amministrazione, sintesi, direzione, svolto in autonomia ma sotto la costante supervisione, in particolare, del padre Francesco”.
A lei la giudice attribuisce un ruolo molto importante, e cioè quello di costitutore e dirigente dell’associazione a delinquere. Durante le lunghe indagini svolte dalla guardia di finanza e dalla Dia di Bari, è emerso addirittura che assumeva le veci del padre Francesco, “ed in particolare lo sostituiva, durante la sua detenzione, presenziando personalmente nel consiglio di amministrazione della SG Cons spa, una delle società su cui si incentravano, secondo gli investigatori, i traffici illeciti”.
Raffaella curava la gestione della parte amministrativa e contabile delle società aderenti e non alla SGCons, “al fine di determinare l’importo mensile da riciclare”, preparava le fatture per operazioni inesistenti, predisponeva gli F24 grazie ai quali si otteneva l’indebita compensazione dei crediti inesistenti, gestiva i conti correnti, ma era anche custode di ingenti somme di denaro contante. Denaro sporco, nascosto nei muri delle abitazioni assieme a documenti preziosi, materiale amministrativo e contabile che, se scoperta, avrebbe dimostrato l’illiceità della struttura societaria. Nel cassetto anche due pistole.