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Lavoro festivo e riposo compensativo, cos’è e come funziona

(Adnkronos) - Sono molti i lavoratori, dal personale della sanità ai dipendenti di supermercati e ristoranti, che devono svolgere le loro prestazioni anche nelle domeniche e durante le festività comandate come Natale, Capodanno, Pasqua e Ferragosto. Questa necessità non deve significare saltare o perdere il riposo settimanale, che spetta per legge dopo 6 giorni di…

(Adnkronos) – Sono molti i lavoratori, dal personale della sanità ai dipendenti di supermercati e ristoranti, che devono svolgere le loro prestazioni anche nelle domeniche e durante le festività comandate come Natale, Capodanno, Pasqua e Ferragosto. Questa necessità non deve significare saltare o perdere il riposo settimanale, che spetta per legge dopo 6 giorni di lavoro continuativo e deve essere di almeno 24 ore consecutive pienamente libere si legge su laleggepertutti.it. C’è, quindi, uno stretto e imprescindibile rapporto tra lavoro festivo e riposo compensativo: come funziona in concreto? 

Di regola il datore di lavoro dovrebbe concedere a chi ha lavorato di domenica, o durante le altre festività di calendario, il recupero nei giorni immediatamente successivi, senza far passare più di una settimana, ma questo non sempre accade. Se, a fronte del lavoro festivo svolto, il riposo compensativo salta – e magari anche più di una volta, quando le settimane passano e le domeniche lavorate si accumulano senza essere recuperate – il lavoratore può rivolgersi al giudice per ristabilire il suo diritto violato ed anche per chiedere il risarcimento di un particolare tipo di danno, chiamato da «usura psicofisica», che serve a compensare lo stress subito dalla perdita del necessario periodo di riposo e le eventuali lesioni alla salute riportate in conseguenza di ciò. 

Diritto al riposo settimanale
 

Il riposo settimanale è un diritto irrinunciabile di ogni lavoratore. È così importante da essere sancito dall’art. 36 della Costituzione, come le ferie annuali. Tuttavia non è previsto che debba essere fruito sempre di domenica (come prevede l’art. 2109 del Codice civile, con una formulazione non perentoria), perché in molte realtà aziendali le prestazioni lavorative sono necessarie anche durante i giorni festivi, nei quali, dunque, è richiesta l’indispensabile presenza di un adeguato numero di lavoratori. I contratti collettivi nazionali di lavoro disciplinano, per ciascun comparto pubblico e privato, le modalità di fruizione del riposo settimanale in un giorno diverso dal tradizionale festivo domenicale. 

Riposo settimanale: quando spetta
 

Il diritto al riposo settimanale spetta a ogni lavoratore subordinato che ha lavorato per 6 giorni. La pausa deve durare almeno 24 ore consecutive: in questo il riposo settimanale si distingue nettamente dal riposo giornaliero, che deve essere di almeno 11 ore consecutive ogni 24 ore. Nulla vieta che il riposo giornaliero possa essere abbinato, in prosecuzione, al riposo settimanale, arrivando così a un totale di 35 ore di intervallo tra le prestazioni lavorative precedenti e quelle successive; ma le modalità di fruizione congiunta dei due tipi di riposo devono essere concordate con il datore di lavoro. 

Lavoro festivo: la maggiorazione retributiva
 

Ai lavoratori che hanno svolto un turno di lavoro festivo spetta una congrua maggiorazione retributiva rispetto allo stipendio o paga base giornaliera, il cui ammontare è determinato dai contratti collettivi nazionali di categoria e, talvolta, anche dai singoli contratti aziendali, con degli emolumenti integrativi. Queste norme disciplinano anche le modalità di concessione del riposo compensativo, che può essere previsto in aggiunta o in alternativa alla maggiorazione stipendiale. 

Mentre il trattamento economico è una previsione contrattuale, e come tale è negoziabile tra le parti del rapporto di lavoro (sempre nel rispetto delle previsioni del Ccnl di riferimento), il riposo settimanale è irrinunciabile e pertanto sorge il diritto del lavoratore a fruirlo, anche in forma di riposo compensativo, se non è stato possibile ottenerlo nel consueto giorno domenicale. In altre parole, non è possibile prevedere turni di lavoro protratti che regolarmente occupino più di 6 giorni lavorativi consecutivi, senza concedere al dipendente un’adeguata pausa di ristoro, che deve scattare dopo il settimo giorno di lavoro. 

Riposo compensativo: regole
 

Il lavoratore che non ha fruito del riposo settimanale nel giorno festivo – o comunque dopo 6 giorni di lavoro continuato – ha diritto a godere del riposo compensativo. La funzione del riposo compensativo è, evidentemente, quella di far recuperare le energie psicofisiche consumate durante l’attività lavorativa protratta per più di 6 giorni e senza aver beneficiato del riposo settimanale della domenica. 

La giornata di riposo compensativo dovrebbe essere concessa dal datore di lavoro, di regola, nel primo giorno lavorativo utile e seguente la domenica lavorata (ad esempio, il lunedì), o, se non è possibile, in quelli immediatamente successivi, e comunque prima del termine della settimana; anche qui sono determinanti le previsioni dei contratti collettivi. Alcuni contratti di lavoro estendono il diritto al riposo compensativo anche a chi ha svolto le prestazioni in orari notturni (ad esempio, un turno dalle 22,00 del sabato alle 05,00 della domenica, che comprende alcune ore in giorno festivo) o in condizioni particolarmente gravose e usuranti. Nel pubblico impiego, l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) prevede che il riposo compensativo può essere goduto entro i 15 giorni successivi a quello di maturazione del diritto. 

Risarcimento del danno da usura psicofisica
 

Il dipendente che ha lavorato continuativamente per oltre sei giorni, quindi anche di domenica e nelle eventuali altre festività di calendario, senza aver beneficiato del riposo compensativo nei giorni seguenti, può subire un “danno da usura psicofisica”. Il mancato godimento del periodo di riposo comporta, evidentemente, conseguenze negative sulla salute e sul benessere psicologico del lavoratore, che può soffrire del protratto ed eccessivo impegno lavorativo anche nella propria vita privata, familiare e di relazione. 

La giurisprudenza ammette il risarcimento del danno da usura psicofisica, ma non in maniera automatica: vale a dire che non basta il solo fatto di aver lavorato in maniera protratta, per 7 o più giorni, per avere diritto all’indennizzo economico. Lo dimostra una nuova sentenza della Cassazione, che ha negato il risarcimento del danno da usura psicofisica ad un vigile urbano che aveva lavorato in una giornata festiva senza fruire del riposo compensativo: secondo la Suprema Corte, il dipendente poteva rivendicare soltanto il maggior trattamento retributivo previsto dal contratto collettivo di lavoro per tali evenienze, e la cui entità era tale da “compensare interamente il particolare disagio derivante dall’articolazione dell’orario di servizio”. 

È da sottolineare che il risarcimento è stato negato anche perché nel caso esaminato non si era verificata un’eccedenza rispetto al normale orario settimanale di lavoro assegnato: pertanto – rileva il Collegio – “è smentita in radice la tesi del lavoratore, secondo cui il mancato rispetto dell’intervallo temporale sarebbe sufficiente a generare un danno da usura psicofisica, risarcibile a prescindere da ogni allegazione e prova del danno”. Questo orientamento restrittivo sulla riconoscibilità del danno da usura psicofisica è confermato da altre analoghe sentenze precedenti, ma non mancano pronunce, anche recenti, che affermano il contrario, facendo leva sul fatto che la mancata concessione del riposo settimanale, anche in forma di successivo riposo compensativo, è un atto illecito del datore di lavoro. 

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