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L’agricoltura in svendita. Sud penalizzato con la logica della produttività

L’ultima è stata Confagricoltura Puglia. Prima erano intervenute le altre organizzazioni datoriali, supportate anche dai sindacati agricoli. L’attuale conformazione della PAC, in materia di aiuti e di ripartizione di risorse tra Nord e Sud, non va giù a quasi tutti. La nuova Programmazione Agricola Comunitaria rappresenta, infatti, un’importantissima opportunità di sviluppo per le aziende pugliesi,…

L’ultima è stata Confagricoltura Puglia. Prima erano intervenute le altre organizzazioni datoriali, supportate anche dai sindacati agricoli. L’attuale conformazione della PAC, in materia di aiuti e di ripartizione di risorse tra Nord e Sud, non va giù a quasi tutti.

La nuova Programmazione Agricola Comunitaria rappresenta, infatti, un’importantissima opportunità di sviluppo per le aziende pugliesi, così come i fondi del PSR, ma l’impianto odierno lascia molti “scontenti”.
GLI AIUTI DIRETTI
Una delle “novità” più difficili da digerire dagli operatori agricoli è quella che riforma il sistema degli aiuti diretti nel primo pilastro. Il comparto sicuramente più colpito per Puglia e Basilicata sarebbe quello olivicolo che potrebbe perdere fino al 50% degli aiuti diretti, compromettendo la capacità di investimenti delle imprese, indispensabili per un aumento della meccanizzazione e della capacità produttiva. Le organizzazioni datoriali chiedono da tempo un tavolo per elaborare eco-schemi ad hoc per il comparto olivicolo e per definire contributi utilizzabili dai produttori che tengano conto delle specificità dei diversi sistemi colturali locali.
PERDITA RISORSE COL NUOVO PSR
Una questione “complessa” da gestire riguarda, invece, i criteri per la quantificazione dei fondi spettanti ad ogni regione per il proprio Piano di Sviluppo Rurale.
La Puglia, insieme a Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia ed Umbria sta portando avanti, da mesi, una battaglia per perdere meno risorse possibili per il prossimo settennato che parte dal 2023. Tutti i portatori di interesse locali si sono da tempo schierati al fianco delle Regioni del Sud nel rivendicare una distribuzione equa dei fondi che tenga conto del cosiddetto criterio storico.
In molti ritengono che rivedere i criteri per la ripartizione dei Fondi del FEASR sia una scelta sbagliata perché ciò comporterebbe per la Puglia una revisione al ribasso della dotazione del futuro PSR, vicina ad una riduzione del 15%. Il nuovo criterio di ripartizione proposto dà, infatti, un maggior peso ponderante alla PLV (Produzione Lorda Vendibile) e quindi alla competitività ed alle performance economiche delle aziende, rispetto al criterio della spesa storica. Se si analizzano i dati forniti dall’Emilia Romagna (nel documento con cui avanzava la proposta di revisione del sistema di calcolo) si nota che la regione guidata da Bonaccini possiede un numero di aziende pari a 59.674 (il 5,21% del totale italiano), mentre se si considera la Puglia si contano 195.795 aziende, pari al 17% del dato complessivo nazionale. Tuttavia mentre l’Emilia Romagna possiede una PLV media di oltre 6 miliardi (11% del totale nazionale), la Puglia arriva a 4,5 miliardi (8% del totale nazionale).
Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Umbria, le sei regioni più penalizzate, da sole, rappresentano il 60% delle aree interessate dai Psr. È chiaro, quindi, che assegnare un maggior peso ponderale alla PLV falserebbe i rapporti tra le Regioni, andando a premiare una particolare conformazione aziendale che poggia su una maggior estensione e su un metodo di coltivazione intensivo, penalizzando in maniera importante territori con una frammentazione aziendale molto alta ma con un livello occupazionale superiore, basti pensare le aziende del Sud (isole comprese) danno lavoro al 61% della manodopera agricola. Alla Puglia questa paventata modifica costerebbe centinaia di milioni di euro in meno nella prossima dotazione del PSR.
Secondo i portatori di interesse pugliesi sarebbero cifre importanti che tradiscono un principio fondante, cioè quello dell’obiettivo di riequilibrare le differenze economiche tra i territori italiani. Principio che esula dal mero dato sulla performance economica aziendale, ma che si àncora, bensì, ad una visione storico-sociale dei rapporti tra regioni.
LA BAGARRE CONTINUA
Il Ministro Patuanelli a giugno, durante la fase di concertazione per la definizione dei criteri di ripartizione del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) per il biennio transitorio 2021-2022, era intervenuto in prima persona per proporre una soluzione “mediana”. L’intesa è passata col voto delle regioni del Nord, ad accezione delle 6 sopracitate. L’accordo prevede che nel 2021 la maggior parte dei fondi (il 90%) saranno distribuiti secondo i criteri storici e il restante 10% secondo i nuovi criteri; per il 2022, la ripartizione si invertirà: 70% con i criteri storici e 30% con i nuovi. A compensare le perdite ci sarebbe un fondo ad hoc: il Mipaaf si è impegnato, con un decreto-legge, a mettere a disposizione delle Regioni più penalizzate dalla nuova ripartizione un fondo di perequazione di 92,7 milioni di euro, cifre che, però, compenserebbero solo in parte la perdita.
Nella conferenza Stato-Regioni di lunedì la concertazione sarebbe partita proprio dalla soluzione raggiunta a giugno, ma la riunione si sarebbe conclusa con un nuovo muro-contro muro dei due blocchi (Nord contro Sud). La battaglia a giorni entrerà nel vivo, perché l’accordo dovrà essere ratificato entro dicembre.

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