«Insieme all’esiguo numero di magistrati quello dell’edilizia giudiziaria è il problema più grave». Il presidente dell’ordine degli avvocati di Bari, Giovanni Stefanì, non nasconde le criticità pur sottolineando la capacità di risposta del sistema alle difficoltà legate alla pandemia.
Presidente, qual è lo stato di salute della giustizia?
«Non è certo ottimale. Non lo è soprattutto quella barese».
Quali sono le maggiori criticità?
«La lunghezza dei processi e lo stato di degrado dell’edilizia che ospita le sedi».
Non tutta la colpa è della pandemia, dunque.
«La crisi legata al covid è sicuramente la ragione principale dei ritardi accumulati negli ultimi due anni. Non è però la sola. Anzi, direi che l’intera macchina della giustizia si è difesa bene. Mi riferisco soprattutto alla collaborazione che l’avvocatura e gli uffici giudiziari hanno saputo mettere in campo».
I ritardi accumulati nei processi sono stati recuperati?
«Nella prima fase della pandemia si sono registrati tanti rinvii d’ufficio. Poi siamo riusciti a correre ai ripari. Siamo rientrati in quelli che erano i tempi prima della pandemia. Non sono risultati fantastici ma neanche da buttare».
Quanto tempo passa a Bari, mediamente, prima che si giunga a una sentenza di primo grado in un procedimento penale?
«Anche cinque-sei anni. Dovrebbero essere due. Siamo distanti da una durata ragionevole».
Il problema dell’assenza di sedi idonee dovrebbe essere superato con la realizzazione della Cittadella della giustizia. È fiducioso?
«È l’unica soluzione. Gli uffici adesso sono lontani uno dall’altro e collocati in appartamenti invece che in edifici nati per svolgere attività giudiziaria. Basti pensare che bisogna affidarsi a strutture esterne, da individuare di volta in volta, per i processi che coinvolgono tante persone. Per la Cittadella ci aspettavamo tempi più brevi».
Troppa burocrazia?
«Esatto. Speravamo in una legge speciale e un commissario che velocizzassero le procedure. Però va bene, l’importante è che si realizzi al più presto».
Questa condizione di precarietà ha reso più complicato garantire l’obbligatorietà del green pass per tutti gli attori della giustizia, avvocati compresi?
«Non ci sono state grandi difficoltà perché la stragrande maggioranza di noi è vaccinata. Il controllo del certificato verde ha creato dei rallentamenti sia a palazzo di Piazza De Nicola (il vecchio palazzo di giustizia, ndr) che di via Dioguardi (procura e tribunale, ndr). Questo perché i luoghi sono angusti e ci sono pochi controllori. Potevano essere installati dei lettori automatici, come quelli per il controllo della temperatura. Anche su questo, però, è una questione di costi».
In tutti gli uffici giudiziari della Puglia si registrano sottodimensionamenti importanti negli organici. È così anche a Bari?
«Purtroppo sì. Insieme al problema delle strutture è questa l’altra grande difficoltà. Ci sono pochi magistrati e quando ognuno di loro ha un carico di lavoro eccessivo, con tanti ruoli aperti di cui occuparsi, è inevitabile che tutto si rallenti».
Bisogna fare più concorsi?
«Sì ma anche su questo i tempi per svolgerli sono troppo lenti. Si dovrebbe intervenire con la massima urgenza».
Il Parlamento sta provando ad accorciare i tempi dei processi attraverso la riforma Cartabia. È la strada giusta?
«Per ora c’è una legge delega, bisogna vedere quali saranno i decreti attuativi. Possono cambiare sostanzialmente le intenzioni iniziali, peggiorandole o migliorandole. I processi devono essere più rapidi, è vero, ma rispettando le garanzie di chi è coinvolto».
Un tema importante che si pone la riforma è anche quello della giustizia riparativa. Alla luce di queste difficoltà e della critica situazione nelle carceri è un risultato raggiungibile?
«La situazione degli istituti penitenziari è davvero complicata. Nel caso di Bari parlerei di condizioni disumane. Penso che sia veramente complicato pensare a una vera riabilitazione sociale del detenuto se non si risolve il problema del sovraffollamento».