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Il naufragio disegnato dai superstiti

(Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - Tanti piccoli puntini rossi, che raffigurano delle persone, finiti in acqua, uno mangiato da un pesce enorme, altri che galleggiano sul fondo del mare e un altro ancora con la testa sottosopra. Altri omini sono dentro la stiva di una barca grande, tutti stipati l'uno vicino all'altro, e anche…

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Tanti piccoli puntini rossi, che raffigurano delle persone, finiti in acqua, uno mangiato da un pesce enorme, altri che galleggiano sul fondo del mare e un altro ancora con la testa sottosopra. Altri omini sono dentro la stiva di una barca grande, tutti stipati l’uno vicino all’altro, e anche qui ce ne sono due a testa in giù. Mentre sulla prua ci sono tre persone, forse gli scafisti. Eccolo, il naufragio raccontato da un disegno fatto da uno dei superstiti, ospiti del Cara di Isola di Capo Rizzuto. Con un pennarello rosso ha messo su carta quello che è accaduto la notte tra il 25 e il 26 febbraio davanti alle coste di Steccato di Cutro (Crotone). In altro la scritta: “We never forget this day”, cioè ‘Non dimenticheremo mai questo giorno’. Per poi aggiungere: “This day is our black day’, cioè ‘Questo è il nostro giorno nero, perché i nostri cari sono morti in questo giorno’. Con accanto scritta la data: 26 febbraio. E’ soltanto uno dei disegni raccolti da Save the children e dalle altre associazioni che si occupano dal primo giorno dei sopravvissuti del naufragio di domenica costato la vita ad almeno 68 persone, mentre sono ancora decine i dispersi.  

Un altro superstite ha disegnato una barca, ma questa volta avvolta nel blu del mare. E un altro ancora ha disegnato una barca viola sbilenca con su scritto ‘180 people’ e ‘120 is dead’, cioè ‘Su 180 persone ne sono morte 120′. I volontari cercano di distrarre i superstiti in ogni modo. Ma è difficile. “Ci sono ragazzi che non escono dalle stanze, altri che non profferiscono parola. Sono momenti difficili per loro”, racconta Giovanna Di Benedetto di Save the Children. Poi però gli occhi le si illuminano quando ricorda che due giorni fa “c’è stato un momento di condivisione” che ha coinvolto quasi tutti, adulti e bambini. E’ bastato un pallone. “Sono usciti anche alcuni ragazzi che non avevano più la forza di parlare. Tutti insieme hanno giocato a pallone, un momento bellissimo”. Certo, non basta un pallone. “Però almeno per qualche minuti sono riusciti ad evadere da questa realtà”, dice Di Bendetto.  

Ma c’è un ragazzo siriano, di venti anni, che non riesce a parlare da domenica, se non per gridare il suo dolore per essere sopravvissuto al fratellino di sei anni. “L’ho tenuto su un pezzo di legno per un po’ – ha raccontato tra le lacrime – e non sono riuscito a salvarlo perché è morto di ipotermia. Dovevo morire io al suo posto”. Poi ci sono i bambini ricoverati all’ospedale San Giovanni Di Dio di Crotone, che ogni giorno incontrano una maestra che li fa giocare e disegnare. Anche per loro la vita va avanti.  

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