Il tema è delicato e complesso perché coinvolge una serie di (differenti e a volte opposti) profili, tutti degni di tutela secondo il nostro Costituente. Anche per questo, paradossalmente la Carta costituzionale viene chiamata in causa da entrambe le “fazioni”: sia da chi rivendica il diritto ad una completa circolazione di notizie, sia da chi chiede un limite alla circolazione delle stesse. Innanzitutto, viene in risalto il diritto all’informazione che com’è noto, per quanto non espressamente tutelato, trova il suo indubbio fondamento nello splendido art. 21 Cost., che stabilisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Tale disposizione ha rappresentato negli anni il fondamento delle più grandi battaglie per una libertà d’informazione piena, plurale e al servizio del cittadino che, a sua volta, è titolare del diritto ad essere informato, anch’esso costituzionalmente tutelato e non meno importante. Quando però l’informazione ha a che fare con il processo penale emergono altri valori, parimenti tutelati dalla nostra Carta. Il riferimento è soprattutto all’ art. 27 Cost., che pone un profilo fondamentale come guida di tutto il periodo dell’iter giudiziario: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Il divieto di assimilare l’imputato al colpevole come regola di trattamento non opera nel solo settore della libertà personale (che rimane comunque la sede privilegiata di operatività), ma coinvolge altresì la sfera di altri diritti individuali costituzionalmente tutelati (si pensi all’onorabilità, ai rapporti di famiglia, eccetera), parimenti suscettibili di lesione durante – e a causa – del processo. Sotto tale prospettiva l’art. 27 comma 2 Cost. rappresenta una sorta di clausola generale riepilogativa dei diritti inviolabili dell’individuo nel processo, e svolge la peculiare funzione di riaffermare e consolidare, in tale settore, prerogative contenute in altre previsioni costituzionali. Per completare il quadro, un ulteriore articolo della nostra Carta da prendere in considerazione è sicuramente l’art. 15 Cost., a norma del quale “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Tale principio oltre a rappresentare un argine all’abuso dello strumento delle intercettazioni da parte degli inquirenti si pone, per quel che qui rileva, anche e soprattutto come limite per i giornalisti rispetto all’abuso della divulgazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito dei procedimenti giudiziari. Inutile aggiungere che tali profili, che mortificano la presunzione di innocenza anche attraverso la pubblicazione decontestualizzata di atti del processo “dati in pasto” all’opinione pubblica, sono ulteriormente esasperati dalla dilatazione della dimensione temporale dei processi penali. Infatti, in questi anni è accaduto che, nel ritardo dell’accertamento della responsabilità penale e nell’attesa dell’irrogazione della relativa sanzione, l’opinione pubblica abbia finito col cercare altrove un surrogato della sanzione stessa, utilizzando per questa ricerca proprio le notizie pubblicate sui vari atti processuali. Non è esagerato, dunque, affermare che la pubblicità che si accompagna alla notizia di reato rappresenta l’aspetto maggiormente pregiudizievole del procedimento, addirittura e paradossalmente anche rispetto alla stessa condanna. Quanto tale situazione strida fortemente con i principi costituzionali poc’anzi esaminati, credo sia sotto gli occhi di tutti.
prof. Michele Troisi
Costituzionalista