Le parole, a volte, falliscono. Possono essere divertenti, emozionanti, ma anche pietre da scagliare contro qualcuno o prive di senso logico. È proprio in questi istanti, che la musica inizia a parlare e il suo trionfo è inattaccabile. Vince Abbracciante, di origini ostunesi, cerca di fare proprio questo con la sua fisarmonica, in giro per il mondo.
La fisarmonica. Perché?
«Perché è lo strumento di famiglia. Nasco in un mondo di fisarmonicisti, la suonava mio nonno paterno, che allietava tutte le serate di “campagna” e leggenda narra che lui arrivasse sempre in sella al suo motorino suonando contemporaneamente la fisarmonica! Portava sempre aria di festa. Poi, fu la volta di mio padre, che giovanissimo imbracciò la fisarmonica e continua a suonarla anche adesso. Io, quindi, ho incontrato la musica per la prima volta nella pancia di mia madre. Ero avvolto dal suono della fisarmonica, lo porto con me da sempre. All’età di otto anni ho chiesto a mio padre di imparare a suonarla».
Ha suonato in giro per il mondo. Mi parli del posto più bello in cui ha suonato e dell’esperienza che più l’ha segnata.
«Sì, ho suonato parecchio in giro. Dagli Stati Uniti all’Australia, dal Canada alla Nuova Zelanda e poi Sud Africa, Russia, Sud America e tutta l’Europa. Il posto più bello che mi è rimasto nel cuore, paesaggisticamente parlando, è il Brasile. Ci torno spesso volentieri, perché amo la loro musica e il Brasile in generale, anche per il calcio. Mi piace anche la vita che fanno i brasiliani e il loro rapporto con la natura, nonostante tutti i problemi che hanno. Il Brasile ritorna anche per l’esperienza più significativa che ho vissuto. Una volta, ho suonato in una specie di notte bianca, che si fa a San Paolo, la “Virada Cultural” (il più grande festival musicale al mondo, che dura 24 ore n.d.r.). L’ho fatto da solo, subito dopo i Buena Vista Social Club e in diretta su Rete Globo, che sarebbe la rete nazionale brasiliana. Il palco era enorme e avevo davanti a me circa ventimila persone. È stata un’emozione unica. Il boato del pubblico, che sono riuscito a conquistare dal secondo pezzo in poi, è stato elettrizzante. E chi se lo scorda!»
La sua vena creativa non è legata solo alla fisarmonica. Quali altri strumenti suona?
«Da quando ho iniziato a fare il musicista professionista, intorno al 2000, ho iniziato a collaborare con il trio “The bumps” con cui sperimento suoni alternativi con diversi strumenti. Di sperimentazione in sperimentazione e di ricerca in ricerca, sono approdato agli organi vintage e anche ai piani vintage anni ‘60-’70. Mi sono letteralmente innamorato dei loro suoni e lo studio che ho fatto mi ha permesso di ampliare le mie conoscenze e tecniche anche per quanto riguarda il mondo della fisarmonica».
Ha ricevuto l’Orpheus award per il secondo anno di fila. Cosa significa questo per lei?
«Non è un traguardo, però venendo premiato tra tutte le produzioni di fisarmonica in Italia è un motivo di orgoglio per me, perché vuol dire che sto facendo delle cose nel modo giusto. È un feedback positivo dall’esterno, che magari, a volte, da solo non riesco a darmi, perché sono molto severo con me stesso, oltre che modesto».
Cosa prova dentro di sé quando suona la fisarmonica? Riesce a descriverlo con le parole?
«Bella domanda! È proprio difficile descriverlo con le parole, ma ci provo. Quello che faccio è chiudere gli occhi e appena li chiudo ascolto il suono della fisarmonica ed entro in una dimensione parallela. Potrei sembrare un folle nel dirlo, ma è davvero così. Mi lascio trasportare da quello che le mani fanno, da ciò che il suono emette e quello che il mio cuore suggerisce. È uno stato particolare, in cui è come se mi estraniassi dal corpo e iniziassi ad osservarmi da un altro punto di vista. Per fare tutto questo è fondamentale anche l’aiuto del pubblico. Ho bisogno dell’attenzione che mi danno e anche loro entrano in questa mia dimensione. Spesso nei concerti chiedo di chiudere gli occhi e immaginare paesaggi o colori. Questo è il grande potere della musica: evocare immagini e spesso ricordi, che ognuno di noi ha dentro di sé. Ma è anche la magia della fisarmonica con il suo suono antico e allo stesso tempo moderno. Quindi, sì, entro in questo mondo di paesaggi, di ricordi e colori e cerco di portarlo fuori da me suonando. È uno stato di profonda emozione e le emozioni sono sempre diverse e questo è fantastico perché nessun concerto è mai uguale al precedente. Odio la routine e questa cosa, invece, mi tiene letteralmente in vita».