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Guardare all’origine di sé, oggi, e proiettarsi nel futuro

Michele Giangrande è artista, scrittore, regista, designer, docente e coordinatore della Scuola di Decorazione dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Solo nel 2021, ha vinto decine di premi nazionali e internazionali, soprattutto per la sua ultima opera, il silent short movie (cortometraggio muto) “The Hyperzoo”, incredibilmente intenso, poetico e inconsapevolmente profetico, parte di una tetralogia…

Michele Giangrande è artista, scrittore, regista, designer, docente e coordinatore della Scuola di Decorazione dell’Accademia di Belle Arti di Bari. Solo nel 2021, ha vinto decine di premi nazionali e internazionali, soprattutto per la sua ultima opera, il silent short movie (cortometraggio muto) “The Hyperzoo”, incredibilmente intenso, poetico e inconsapevolmente profetico, parte di una tetralogia i cui elementi (terra, aria, acqua e fuoco) sono i fondamenti arcaici della sua ricerca espressiva umana e artistica, per trasmettere, in un linguaggio contemporaneo, il suo messaggio al futuro.

Michele Giangrande, qual è il suo messaggio?
«Non cerco il canale della comprensione. È la trasmissione empatica dell’emozione al centro di tutto, come ciascuno e ciascuna di noi interiorizza e vive l’arte e d’arte. Sembra anacronistico visto che mi occupo di arte contemporanea, ma sono appassionato di preistoria; provo passione sfrenata, amore, sono ossessionato dai primissimi segni lasciati dall’uomo per comunicare. Perché rappresentano l’esigenza originaria di esprimersi oltre i principi basilari di nutrirsi, riprodursi e difendersi».
Lei da cosa si difende?
«Dalla paura della morte».
Che trasforma con l’arte.
«Cerco di creare opere “aperte”, interpretabili oggi, ma che affondano le radici in una scintilla primordiale, con cui bisogna entrare in empatia. Così facendo creo delle opere metamorfiche, immersive, esperienziali, che fanno sì che le persone entrino nell’opera e non ne siano spettatori passivi, ma ne diventino parte».
Con la sua arte Michele è presente in musei, collezioni pubbliche e private, spazi urbani in Italia e all’estero e ha partecipato a numerose mostre personali e collettive. È del 2018 la prima opera esperienziale della tetralogia, dedicata all’elemento Terra: “Bunker”, creata in rifugi anti-arei (come quello sotto la piazza principale di Monopoli), da cui è nato un docu-film girato da Alessandro Piva. Nel 2019 è seguito il tema dell’Aria, con “The Hyperzoo”, distribuito nel 2021 con un successo di pubblico e critica, letteralmente, straordinario.
In The Hyperzoo lei sembra in qualche modo raccontare il nostro vissuto durante la pandemia, ma l’ha realizzato l’anno prima, quando era insospettabile quanto sarebbe accaduto. Com’è possibile?
«Il museo MACRO di Roma mi aveva proposto un evento performativo in cui ciascun artista avrebbe dovuto trasferire il proprio studio in un cubo di vetro, lavorando sotto gli occhi del pubblico. L’idea di mettere in scena l’atto più intimo per un artista, quello di creare, in una “gabbia”, non mi piaceva. Accettai solo alle mie condizioni: ribaltare la prospettiva».
Per farlo, Michele ha ripescato il suo più lontano ricordo del concetto di privacy, quello delle auto delle coppiette tappezzate di giornali. Ne ha ricoperto il cubo a lui assegnato, ne è uscito e ha invitato le persone del pubblico a entrare lasciandole libere di fare ciò che volevano, documentandolo cinematograficamente. «È successo di tutto. Fra le centinaia di persone che han partecipato, provenienti da ogni parte mondo, una di esse ha tirato fuori un pennarello rosso, ha scritto sui giornali e, uscendo, lo ha lasciato lì, affinché anche altre potessero lasciare un segno: magicamente, si è ricreata la grotta preistorica. È stato incredibile, ho ancora i brividi».
Brividi che a noi sono venuti anche per “Abyss”, opera sul tema dell’acqua che ha preso vita nel novembre del 2021. Com’è nata?
«Entrando nello Spazio Matta di Pescara, un ex mattatoio, era già tutto lì: l’ambiente era identico a quello dell’Ultima Cena di Leonardo», che Michele ha ricreato in chiave contemporanea mettendo in scena profughi a ricordare Apostoli e Gesù, coperte isotermiche come tonache, maschere africane a mostrare le loro origini. Un’opera che racconta il tradimento odierno, dell’acqua del mare che li inghiottisce, dei trafficanti che negano le promesse fatte, della società che respinge i loro sogni e le loro speranze. Costumi e scenografie sono di Angela Varvara, la regia del documentario, realizzato per l’occasione, è di Alessandro Porzio.
Alla tetralogia manca un’opera, giusto?
«Il Fuoco, ci sto lavorando ma è ancora presto per parlarne». Quello che è certo è che sarà un’altra opera totale: pubblico, cinema, musica, costumi, scenografie, per sublimare l’arte di Michele e le emozioni del nostro oggi e del mondo che verrà.

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