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Gedi, bocciata la truffa “mite”: no al patteggiamento. Processo vicino

Sono solo due i quotidiani (“La Verità” e “Il Fatto”) che, nonostante l’alta attenzione mediatica iniziale, hanno poi deciso di pubblicare la notizia di cui scriviamo. Eppure, ha la sua importanza perchè tocca temi fondanti: la “lealtà” di stampa e la “certezza” della pena.I fatti si riferiscono agli ultimi sviluppi della maxi truffa all’Inps per…

Sono solo due i quotidiani (“La Verità” e “Il Fatto”) che, nonostante l’alta attenzione mediatica iniziale, hanno poi deciso di pubblicare la notizia di cui scriviamo. Eppure, ha la sua importanza perchè tocca temi fondanti: la “lealtà” di stampa e la “certezza” della pena.
I fatti si riferiscono agli ultimi sviluppi della maxi truffa all’Inps per i prepensionamenti irregolari del Gruppo Gedi che fa capo alla famiglia Agnelli-Elkannm, in cui sarebbero stati sottratti 16 milioni di euro all’Inps (cioè a tutti i contribuenti). Eppure la Procura di Roma ha considerato tale condotta come un “danno erariale tenue”.

Andrea Fanelli, gip del Tribunale di Roma, durante l’udienza in Camera di Consiglio che si è svolta questa settimana, ha però rigettato l’istanza di patteggiamento dei due imputati più eccellenti del caso, che si basava proprio sull’assunto di cui sopra. Gli imputati sono Monica Mondardini ex amministratrice delegata di Gedi, oggi alla guida della Cir di Carlo De Benedetti, e Maurizio Moro ex Capo del personale delle 5 società Gedi Gruppo editoriale Spa, Gedi news network Spa, Gedi printing Spa, A. Manzoni &C. Spa ed Elmedia Spa. Il perchè del no? L’istanza rigettata da Fanelli è stata ritenuta troppo “mite” per il reato, visto quanto approvato dal Procuratore aggiunto Paolo Ielo e dalla pm Claudia Terracina. Quest’ultima in particolare, ha ritenuto plausibile comminare a Mondardini e Moro 5 mesi e 10 giorni di reclusione con pena sospesa. Nei corridoi del tribunale non sarebbe passata inosservata la modalità adottata nel formulare l’istanza, tanto da sollevare voci su presunte attività di azione che sarebbero state applicate anche in altri casi.

Gli accordi con le società prevedevano il pagamento di 44 quote del valore di 22.000 euro per azienda per un totale di 110.000 euro. Il risarcimento del danno in favore dell’Inps per un totale di circa 16 milioni, e l’ulteriore messa a disposizione da parte della società di 1,8 milioni come profitto connesso ai reati contestati. Eppure, il danno certificato all’inizio dell’inchiesta dalla Guardia di Finanza è di circa ben 22 milioni di euro per le pensioni erogate sulla base di documentazione falsa ad un’ottantina di dirigenti impegnati con un gioco di demansionamenti fittizi.

All’epoca dei fatti, l’ingiusto profitto ottenuto da Gedi era stato valutato in circa 38,9 milioni e non 1,8 come dall’accordo di cui sopra. Anche per questo il giudice Fanelli ha ritenuto irricevibile l’istanza concordata da Ielo e Terracina. Inoltre, è stato precisato che per le società “non ricorrerebbero i presupposti per riconoscere la richiesta di attenuante per danno patrimoniale tenue visto che le pene proposte sono state considerate ‘manifestatamente sproporzionate per difetto’”.

Il gip Fanelli ha dunque disposto la restituzione degli atti al pm perché l’istanza di patteggiamento sia riproposta con condizioni diverse.

Intanto, la Procura di Roma sta valutando la citazione diretta a giudizio per tutti gli indagati per i quali non è stata chiesta l’archiviazione, i quali finirebbero in dibattimento saltando l’udienza preliminare. E il prossimo passaggio dunque dovrà dare risposte su definizioni e numeri. Perché la definizione di “pena mite” e di un risarcimento di 22 mila euro rispetto ad un danno di 22 milioni di euro, di sicuro non si può spiegare rispetto alla gravità dei fatti contestati. Ai giudici, e a tutti gli italiani.

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