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Addio ad Arnaldo Forlani, il premier che sfiorò il Colle: l’ultimo segretario della Dc è morto a 97 anni

È morto ieri nella sua casa a Roma, Arnaldo Forlani. L'ex leder Dc aveva 97 anni. A darne notizia il figlio Alessandro.   Ultimo segretario della Democrazia Cristiana, con Arnaldo Forlani, classe 1925, se ne va uno degli esponenti di primissimo piano della prima Repubblica. Già presidente del Consiglio tra l'80 e l'81, più volte…

È morto ieri nella sua casa a Roma, Arnaldo Forlani. L’ex leder Dc aveva 97 anni. A darne notizia il figlio Alessandro.  

Ultimo segretario della Democrazia Cristiana, con Arnaldo Forlani, classe 1925, se ne va uno degli esponenti di primissimo piano della prima Repubblica. Già presidente del Consiglio tra l’80 e l’81, più volte ministro, sfiorò nel ’92 l’elezione al Colle mancando per pochi voti il traguardo. Poi, per quello che gli amici chiamavano “zio Arnaldo”, arrivarono i guai, con il processo Enimont e Tangentopoli, e la fine della carriera politica.

«Si può governare senza sembrare di stare al governo», amava dire del suo impegno in politica, perché la cifra di Forlani era proprio quella di chi non sembrava ambizioso, anzi al contrario sempre un passo indietro, almeno in apparenza. Ingessato nel suo immancabile completo grigio. Una fama da pigro, quasi indolente. Apparentemente riluttante ad assumere cariche e responsabilità. Eppure Forlani, di incarichi pubblici, nella sua vita ne ha avuti molti: parlamentare di lungo corso, con ben nove legislature all’attivo dal 1958 al 1994.  

Marchigiano, nato a Pesaro, laurea in giurisprudenza ad Urbino, dopo i primi incarichi come amministratore nella città natale, alla metà degli anni ’50 entra nella Direzione nazionale. Forlani scala i vertici della balena bianca: vicesegretario del partito nel 1962, poi due volte segretario a distanza di vent’anni. La prima volta nel 1969, con De Mita vicesegretario. La seconda segreteria, tra il 1989 ed il 1992, lo vede sostenuto dal centro doroteo appoggiato da Andreotti.

Fanfaniano di ferro fino agli inizi degli anni ’80, nel 1982 aveva perso l’appoggio del suo mentore nella battaglia congressuale con De Mita per la segreteria del partito. Aveva allora fondato una nuova corrente con Gava e Scotti: il “Grande Centro” rappresentativa dell’anima moderata della Dc. Si era avvicinato poi ad Andreotti e dal 1989 al 1992 sarà tra gli artefici del Caf, l’asse Craxi-Forlani-Andreotti che portò alla caduta del governo De Mita e al ritorno di Andreotti alla presidenza del Consiglio e che connoterà fortemente gli ultimi anni di governo del pentapartito.  

Da responsabile del partito, finisce alla sbarra, davanti ai giudici del processo Enimont dove viene condannato in via definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione per finanziamento illecito dei partiti. 

Due volte ministro per le Partecipazioni statali, tre volte ministro degli Esteri, una volta presidente del Consiglio tra l’80 e l’81, e due volte vicepresidente (nel primo e secondo governo Craxi, nell”83 e nell”86). Candidato alla Presidenza della Repubblica, nel 1992 che gli sfugge per meno di 30 voti, prima di lasciare il campo a Oscar Luigi Scalfaro. Ultimo impegno quello di eurodeputato, tra i popolari europei dal 1989 al 1994. 

Famosi i soprannomi che gli erano stati affibbiati dagli amici della Dc e dai detrattori fuori e dentro il partito. “Lin Piao di Fanfani”, per sottolineare la decennale fedeltà delle origini al leader aretino della Dc. Ma anche “pompiere” e forse il più famoso “coniglio mannaro”. Forlani confessava di essere ormai affezionato ai soprannomi che gli erano stati attribuiti dalle cronache politiche nazionali: «Nel colore che accompagna le vicende politiche e i loro protagonisti non mi dispiacciono. Anzi, mi piacciono tutti e due. Il primo – spiegava – perché si riferisce alla mia tendenza a cercare di far sempre prevalere gli elementi di convergenza rispetto ai motivi di contrasto: quindi, spegnere gli incendi». Quanto al soprannome di “coniglio mannaro”, Forlani spiegava: «Questa definizione fa riferimento al grande, monumentale romanzo di Bacchelli, non mi dispiace il sostantivo che può far riferimento al carattere mite, non protervo, mentre l’aggettivo sottolinea la capacità di essere duro e intransigente quando c’è la necessità di difendere valori e ragioni importanti». 

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