(Adnkronos) – I farmaci equivalenti, noti come generici, “rappresentano solo poco più del 20% del mercato per confezioni”, secondo il report appena diffuso dal Centro studi Egualia (dati 2021). Rispetto al medicinale di cui è scaduto il brevetto, “il generico ha stessa efficacia, sicurezza e un costo minore. Ma questo termine, per un farmaco, non va bene” perché ne riduce il valore. “Quando ci si è resi conto che la comunicazione ne risentiva, si è dato il nome di equivalente. Come farmacisti, continuiamo a fare informazione: esiste una legge in base alla quale il cittadino deve ricevere informazioni sugli equivalenti, ma notiamo un certo scetticismo”. Lo spiega Andrea Cicconetti, presidente di Federfarma Roma, intervenendo all’evento online ‘Farmaci generici: una scelta di valore in farmacia’, terzo talk della serie ‘Scelte di salute’, promosso da Sandoz e trasmesso in diretta streaming sui canali web e social di Adnkronos.
Al dibattito, moderato da Federico Luperi, direttore Innovazione e New Media e responsabile Digital di Adnkronos, sono intervenuti anche Tiziana Nicoletti, responsabile Coordinamento nazionale Associazioni dei malati cronici di Cittadinanzattiva, ed Enrica Tornielli, pharmaceutical Affairs Head di Sandoz Italia. Durante il dibattito gli esperiti hanno commentato i dati appena diffusi da Egualia (Associazione italiana dei produttori di farmaci generici equivalenti e biosimilari) e di un recente sondaggio, ‘I farmaci generici e il ruolo del farmacista’, di Emg Different, realizzato con 800 interviste su un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne.
Come si è ricordato durante la diretta web, secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’equivalente-generico è un medicinale “intercambiabile con il prodotto originale, e che viene messo in commercio dopo la scadenza del brevetto” del medicinale di riferimento/originator. “Il generico – evidenzia Cicconetti – è un farmaco che deve essere bioequivalente, cioè raggiunge nello stesso tempo la stessa concentrazione nel sangue di principio attivo del medicinale di riferimento. Costa meno perché non servono studi di sicurezza, essendo uguale a quello in commercio da 20 anni”, di cui è scaduto il brevetto. “Molti originator nel corso degli anni si sono allineati al prezzo di rimborso e hanno uno spread, cioè differenza di costo, molto basso, pari a 1-2 euro extra. Questo è percepito come il valore di un ticket. Però nel malato cronico, che prende vari farmaci, 7-10 medicinali al mese, sono 40 euro al mese, cioè 5-600 euro l’anno”. Tale pratica, secondo i dati di Egualia, nel 2021, ha fatto sborsare ai cittadini, di tasca propria (out of pocket), oltre 1 miliardo di euro (1.052 milioni): a tanto corrisponde la quota versata per coprire la differenza di prezzo tra il farmaco di marca e il corrispettivo generico equivalente, il cui valore è interamente rimborsato dal Servizio sanitario nazionale.
Sottolinea l’importanza di un’informazione corretta anche Nicoletti, segnalando inoltre un possibile rischio di abbandono delle cure. Commentando il fatto che l’89% degli intervistati nel sondaggio Emg conosce l’esistenza dell’equivalente, ma appunto solo una confezione su 5 dei farmaci dispensati in farmacia è un equivalente, la rappresentante di Cittadinanzattiva, dice: “Credo ci sia un problema di comunicazione. L’equivalente è uguale in sicurezza e qualità, ma costa meno e per questo si è portati a pensare che il costo inferiore lo renda meno sicuro o efficace. La motivazione del minor costo invece è un reale risparmio per il Ssn. E’ un risparmio anche per noi cittadini – precisa – perché nel paziente cronico la somma diventa non indifferente e questo può comportare una non aderenza alla terapia: se non ce la fa economicamente, il paziente rinuncia alle cure. Serve quindi informazione non solo in farmacia, ma anche dal medico, un riferimento per il cittadino, che dovrebbe prescrivere da subito l’equivalente e far capire che è come il prodotto di marca”.
Rimarca il ruolo del medico sulla scelta dell’equivalente anche Cicconetti, commentando il fatto che il farmacista gode, secondo il sondaggio Emg, della fiducia del 90% del campione, e dato che l’84% delle persone accetta il consiglio del farmacista e il 58% accetterebbe l’equivalente dietro spiegazioni, ma solo il 19% degli intervistati ricorda che il farmacista abbia proposto l’equivalente. “C’è indubbiamente una fiducia nei confronti del farmacista – osserva il presidente di Federfarma Roma – ed è aumentata notevolmente” nel periodo del Covid, visto che la farmacia è stato “l’unico presidio sanitario sempre accessibile durante la pandemia. Però quando il farmacista propone l’equivalente, il cittadino accampa una serie di scuse: ‘non mi fido’, ‘la scatola è diversa’, ‘faccio confusione’. Ci sarebbero leggi ben precise – rammenta Cicconetti – che obbligano il medico di medicina generale a prescrivere l’equivalente e il farmacista a proporlo. Il cittadino devia e accampa scuse e soprattutto, dove la differenza di prezzo è minimale, 1-2 euro a confezione, viene percepita come una sorta di ticket e il discorso è chiuso: va sull’originator. Serve lavorare molto e serve l’aiuto della classe medica che vale l’80% nell’indirizzare l’assistito”.