«Nelle prossime ore Acciaierie d’Italia si accinge a fermare l’altoforno 2 nello stabilimento di Taranto. E’ un altro impianto importante che si ferma dopo l’altoforno 1 e l’acciaieria 1 fermi dallo scorso agosto». A darne notizia è Valerio D’Alò, segretario nazionale Fim Cisl.
Con lo stop all’afo 2, resterà in attività solo il 4. «Se questo dovesse produrre ghisa non buona – sottolinea D’Alò – non abbiamo dove miscelarla, perché non abbiamo la macchina a colare, e rischiamo il blocco dello stabilimento». È solo l’ultima novità in ordine di tempo che riguarda l’ex Ilva di Taranto su cui, però, Acciaierie d’Italia non si è espressa ufficialmente.
La Fiom intanto parla apertamente di un gesto provocatorio. «La fermata dell’altoforno 2 avverrebbe per un periodo di otto giorni- due settimane, probabilmente ripartirebbe sotto Natale», afferma Francesco Brigati, segretario Fiom Cgil. Noi non siamo stati informati di nulla dall’azienda. E’ l’ennesima provocazione di questa gestione e qualcuno ora deve fermarla assolutamente perché sta mettendo a rischio stabilimento e produzione».
La condizione dello stabilimento e lo stallo nelle trattative con ArcelorMittal continuano a preoccupare tanto gli imprenditori quanto il mondo dell’impresa, nonché i cittadini di Taranto che da anni chiedono l’abbattimento dell’inquinamento.
Ieri Cgil, Cisl e Uil hanno scritto una lettera alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, chiedendo un intervento diretto del governo che porti alla nazionalizzazione della fabbrica. I segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella parlano apertamente di una situazione drammatica e di uno stabilimento «già al collasso per una gestione fallimentare del management.
Il tempo che trascorrerà – sottolineano i tre sindacalisti – fino alla prossima riunione, prevista il 6 dicembre, comporterà un ulteriore peggioramento del gruppo siderurgico, con deterioramento degli impianti, delle condizioni di sicurezza e con la sofferenza delle migliaia di famiglie sia dei lavoratori diretti, che del mondo degli appalti e dei lavoratori di Ilva in As».
I sindacati, inoltre, tornano a chiedere chiarezza sul memorandum che a settembre il ministro per il Sud Raffaele Fitto ha sottoscritto con ArcelorMittal. Contro il governo ieri si è scagliato anche il presidente della Regione Michele Emiliano. «La più grande acciaieria d’Europa – ha affermato – sta per essere buttata a mare dal governo italiano non per dolo, ma per totale incapacità».
Il presidente si è unito al coro di chi chiede una immediata nazionalizzazione della fabbrica. «Una forma corretta di acquisizione da parte del governo delle quote societarie per proseguire le attività», ha sottolineato il presidente. Tra chi punta l’idice contro ArcelorMittal, ma anche contro lo Stato, ci sono anche gli ambientalisti. Per il movimento “Giustizia per Taranto” «Mittal è oggi il principale alleato per chiudere la fabbrica della morte. Una previsione fin troppo facile da fare osservando con un minimo di attenzione l’atteggiamento che il colosso franco-indiano tiene in tutti i luoghi in cui produce: promette investimenti e occupazione, attinge tutto ciò che può dai fondi pubblici e poi chiude. Lo Stato ora pianga se stesso per aver stretto un patto di sangue con un’impresa predatoria del genere».