(Adnkronos) – (di Elvira Terranova) – Sono tutti morti in ospedale, da detenuti, gli ultimi boss mafiosi. Tutti ex latitanti, ma morti dietro le sbarre. Da Totò Riina a Bernardo Provenzano, all’ultimo stragista di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. E tutti in condizioni di salute gravissime. A partire da Bernardo Provenzano, boss di Corleone, morto il 13 luglio de 2016 all’ospedale San Paolo di Milano. Già dall’anno precedente diverse perizie mediche lo avevano indicato un vegetale. Nonostante le sue condizioni di salute, però, con il parere favorevole di diverse procure e anche della Direzione nazionale antimafia, Bernardo Provenzano, era rimasto recluso al regime duro del 41 bis. E così è morto. L’ultima proroga del 41 bis era stata firmata dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando nell’aprile del 2016, pochi mesi prima del decesso del boss. Aveva 83 anni, Provenzano, quando è morto.
Il capomafia venne arrestato dopo una latitanza di 43 anni l’11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone (Palermo), a poca distanza dall’abitazione dei suoi familiari. Tutti i processi in cui era ancora imputato erano stati sospesi proprio perché il boss, sottoposto a più perizie mediche, era stato ritenuto incapace di partecipare. Le cartelle cliniche parlavano di “grave stato di decadimento cognitivo”, “rare parole di senso compiuto”, ed “eloquio assolutamente incomprensibile”. Con un quadro neurologico in peggioramento. Ecco quanto si leggeva nell’ultima diagnosi. Nelle loro conclusioni i medici dichiaravano il paziente “incompatibile con il regime carcerario”, aggiungendo che “l’assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza”. Provenzano per me è morto quattro anni fa, dopo la caduta nel carcere di Parma e l’intervento che ha subito.
Da allora il 41 bis è stato applicato ai parenti e non a lui, visto che non era più in grado di intendere e volere e di parlare da tempo”, aveva detto dopo la morte del boss il suo legale, l’avvocata Rosalba Di Gregorio che negli ultimi anni aveva presentato due istanze di revoca del carcere duro e tre di sospensione dell’ esecuzione della pena. Tutte respinte.
Anche l’altro boss sanguinario, Totò Riina è morto da detenuto. Erano le 3.37 del 17 novembre 2017, il giorno dopo avere compiuto 87 anni, quando, nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma dove era ricoverato da tempo, Riina morì. Nelle settimane precedenti era stato operato due volte e dopo l’ultimo intervento il capomafia corleonese era entrato in coma. Esattamente come Matteo Messina Denaro. La Procura di Parma aveva disposto l’autopsia sulla salma perché, come aveva spiegato il procuratore di allora Antonio Rustico, il decesso era avvenuto in “ambiente carcerario” e quindi “richiedeva completezza di accertamenti”, “a garanzia di tutti”. Anche la salma di Messina Denaro verrà sottoposta, con ogni probabilità, all’esame autoptico.
Le condizioni cliniche del boss Riina si erano ulteriormente aggravate nei giorni precedenti al decessi, quando dal reparto detenuti dell’ospedale Maggiore era stato trasferito in terapia intensiva e rianimazione, dove era rimasto fino al decesso. Riina, arrestato il 15 gennaio del 1993 a Palermo, era malato da diversi anni, ma negli ultimi tempi le sue condizioni erano peggiorate. I suoi legali chiesero più volte il differimento di pena per motivi di salute. Ma il tribunale di Sorveglianza di Bologna respinse la richiesta. Solo poche ore prima del decesso l’allora ministro della Giustizia aveva concesso ai familiari un incontro straordinario con il boss. Riina stava scontando 26 condanne all’ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del ’92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del ’93, nel Continente.
Un altro boss mafioso, Francesco ‘Ciccio’ Messina Denaro, padre del più noto Matteo Messina Denaro, era morto, invece, da latitante. E lo fecero ritrovare vestito di tutto punto, già pronto per il funerale. Ricercato da più di otto anni, Messina Denaro senior morì il 30 novembre 1998, stroncato da un infarto. Per tutta la durata della sua latitanza fu infatti assistito dal medico Vincenzo Pandolfo, originario di Partanna, il quale si consegnò alle autorità nel 2006. Il suo cadavere venne fatto ritrovare, già vestito di tutto punto per il funerale, adagiato lungo il muro di cinta sotto un ulivo nelle campagne tra Castelvetrano e Mazara del Vallo (Trapani). Il funerale fu poi vietato per motivi di ordine e sicurezza pubblica.
Le sue condizioni fisiche, già piuttosto precarie a causa di una disfunzione renale, erano precipitate per un malore avvenuto almeno 72 ore prima che qualcuno lo facesse ritrovare ai piedi dell’albero. Il giorno 27, infatti, era stato arrestato il figlio Salvatore, funzionario della Banca Sicula, perché sospettato di aver gestito alcuni affari poco chiari della sua famiglia. Il giorno dopo il ritrovamento della salma, il figlio Matteo, all’epoca latitante da cinque anni, affidò il suo necrologio ai giornali siciliani.
Appena un anno fa è morto, invece, sempre da detenuto in regime di 41bis, il boss Antonino ‘Nino’ Santapaola, fratello dello storico capomafia Benedetto. Anche lui era malato da tempo. Aveva 68 anni.
Bisogna fare un viaggio indietro nel tempo per un altro boss mafioso, morto oltreoceano. Il suo nome era Al Capone, morto il 25 gennaio del 1947.Figlio di un barbiere e di una sarta, Alphonse Gabriel Capone – questo il suo nome completo – era nato a Brooklyn il 17 gennaio 1899, da genitori di origini campane. Trascorse la sua infanzia nella miseria e in un ambiente degradato, dove entrò in contatto con le gang della zona dedite alla microcriminalità. Da quel momento, di banda in banda, conquistò un posto nel mondo della criminalità. La morte del mafioso più sanguinario degli Stati Uniti avvenne il 25 gennaio 1947 a causa delle sifilide, che lo costrinse a rinchiudersi nella casa dei suoi fratelli, dove si spense nella vasca da bagno.