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Crisi governo, nel M5S sale ipotesi stop fiducia a prescindere

(Adnkronos) - Via la fiducia a prescindere, anche se il premier Mario Draghi - ipotesi tutta da vedere - dovesse decidere di restare. E' uno degli schemi su cui si è ragionato nel Consiglio nazionale M5S ieri sera, finito tardi e senza una risposta: l'organismo si aggiornerà oggi probabilmente in formula 'allargata'. Ma ieri, a…

(Adnkronos) – Via la fiducia a prescindere, anche se il premier Mario Draghi – ipotesi tutta da vedere – dovesse decidere di restare. E’ uno degli schemi su cui si è ragionato nel Consiglio nazionale M5S ieri sera, finito tardi e senza una risposta: l’organismo si aggiornerà oggi probabilmente in formula ‘allargata’. Ma ieri, a quanto apprende l’Adnkronos, non sono mancate frizioni e momenti di grande tensione. La premessa è d’obbligo: nell’intervento all’assemblea congiunta di mercoledì sera il leader Giuseppe Conte ha detto che sì, il voto dei 5 Stelle al dl aiuti non ci sarebbe stato – causa inceneritore a Roma -, ma il sostegno sarebbe rimasto con le risposte opportune da parte di Draghi al documento in 9 punti targato M5S. Sulla stessa linea, ieri, la capogruppo al Senato Mariolina Castellone, assicurando che, in caso di verifica di maggioranza, “c’è tutta la nostra disponibilità a dare la fiducia al governo”.  

Ma il vento in casa 5 Stelle sta cambiando, perché – è la convinzione che sta maturando soprattutto nei fedelissimi di Conte – il popolo grillino non capirebbe un doppio passo sulla fiducia, ossia prima il no da duri e puri e poi il sì. Dunque no a un’eventuale voto di verifica della maggioranza, magari preannunciando lo stop all’ex numero uno della Bce con un segnale forte, ovvero sfilando in anticipo la delegazione M5S al governo. Ed è stata proprio questa linea “ondivaga” a sollevare i dubbi di alcuni in Consiglio, in primis Alfonso Bonafede e Chiara Appendino. Serve una strategia se si vuole lasciare -è il ragionamento-, una linea ben definita senza lasciare spazio all’improvvisazione, l’accusa sotto traccia. Mentre il ministro Federico D’Incà ha ribadito ieri che il problema è a monte: non si doveva arrivare a questo punto, con il rischio di consegnare il Paese al centrodestra. Ma a surriscaldare il clima è stato soprattutto il capogruppo alla Camera Davide Crippa, che ha accusato Conte di aver tagliato fuori il Consiglio nazionale dalla decisione dell’Aventino parlamentare, prendendola solo con i soliti noti, leggi i vicepresidenti. Perché, l’accusa mossa, il Consiglio nazionale era stato sospeso in attesa della telefonata tra Conte e Draghi, ma nel pomeriggio c’è stata un’accelerazione, con l’ex premier arrivato in Consiglio nazionale “con la decisione in tasca, in barba ai dubbi sollevati in mattinata”, ha puntato il dito Crippa.  

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