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Caso Saguto, Giudici in camera di consiglio

(Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) -Si sono ritirati in camera di consiglio poco dopo le 10.15 di oggi i giudici della Corte d'appello di Caltanissetta per emettere la sentenza del processo a carico di Silvana Saguto, l'ex Presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e del suo cosiddetto 'cerchio magico'. Il verdetto…

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) -Si sono ritirati in camera di consiglio poco dopo le 10.15 di oggi i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta per emettere la sentenza del processo a carico di Silvana Saguto, l’ex Presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e del suo cosiddetto ‘cerchio magico’. Il verdetto è previsto per le 13.30 circa. Saguto non si è presentata in aula. Al termine della requisitoria, la Procura generale ha chiesto la condanna a dieci anni di carcere, un anno e mezzo più del primo grado, per l’ex giudice nel frattempo radiata dall’ordine giudiziario. In primo grado Saguto, accusata di corruzione e abuso d’ufficio, venne condannata otto anni e mezzo di reclusione. Ma i giudici non ritennero l’ex magistrata colpevole di associazione a delinquere facendo cadere l’accusa. Mentre per la Procura generale “l’associazione c’era” tra “Saguto, il marito Lorenzo Caramma e l’avvocato Cappellano Seminara”, come ha detto in requisitioria la pm Claudia Pasciuti. Chiesto un aumento della pena, oltre che per Saguto, anche per l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara (otto anni e tre mesi), in primo grado condannato a sette anni e mezzo. Secondo l’accusa Saguto, sarebbe stata al centro di un vero e proprio “sistema” che avrebbe pilotato l’assegnazione delle amministrazioni giudiziarie dei beni sequestrati alla mafia in cambio di favori. 

Al termine della requisitoria sono stati chiesti, inoltre, aumenti di pena per altri imputati: sette anni e due mesi per l’ex professore della Kore Carmelo Provenzano condannato in primo grado a sei anni e dieci mesi; sei anni e mezzo per Lorenzo Caramma, marito di Silvana Saguto, condannato in primo grado a sei anni e due mesi di carcere; per Roberto Nicola Santangelo, amministratore giudiziario, condannato in primo grado a sei anni e due mesi, chiesti sei anni e quattri mesi di carcere. Per gli altri imputati del processo d’appello è stata chiesta la conferma della sentenza di primo grado. L’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo venne condannata in primo grado a tre anni. Chiesta la conferma anche per Walter Virga, condannato in primo grado a un anno e 10 mesi, per l’amministratore giudiziario Roberto Santangelo, condannato a sei anni due mesi e dieci giorni, per il colonnello della Dia Rosolino Nasca (quattro anni), per il professor Roberto Di Maria (due anni otto mesi e venti giorni) per Carmelo Provenzano, professore dell’università Kore di Enna (sei anni e dieci mesi), la moglie Maria Ingarao (quattro anni e due mesi), la cognata Calogera Manta (quattro anni e due mesi), per Emanuele Caramma, figlio dell’ex giudice, chiesta la conferma della condanna a sei mesi. Assolti invece in primo grado il padre dell’ex giudice, il novantenne Vittorio Saguto, Aulo Gabriele Gigante e il giudice Lorenzo Chiaramonte. Assoluzioni diventate definitive. 

All’inizio della requisitoria l’allora Procuratrice generale Lia Sava, oggi a Palermo, disse: “Questo non è un processo all’antimafia o a una certa antimafia. Abbiamo solo fotografato alcune condotte illecite. E vi assicuro che è stato un processo doloroso, molto doloroso anche per noi, non solo per gli imputati. Un dolore lancinante, un coltello senza manico. Ci siamo feriti anche noi”. “Niente suggestioni esterne, nessun sollecito massmediatico. Il nostro passo è scevro da ogni sollecitazione massmediatica esterna al processo e ha come unica meta la ricostruzione analitica e assolutamente equilibrata dei fatti di reato che in questa sede devono essere confermati. Fatti di reato, non giudizi etici e morali che non ci interessano e che sono fuori dal nostro orizzonte”. L’accusa ha poi sottolineato ancora che “nessuno di noi ha messo in dubbio l’importanza strategica dell’Ufficio Misure di prevenzione nel contrasto alla mafia. Solo che ad un certo momento il sistema si è ammalato”. “Noi non abbiamo titolo per dare giudizi morali, se avessimo voluto parlare di etica avremmo selezionato capi di imputazione generici. Vi assicuro che abbiamo maneggiato con cura il materiale probatorio”, ha tenuto a precisare Lia Sava. 

“Non abbiamo mai subito alcuna tentazione etica o moralizzatrice, abbiamo solo fatto il nostro dovere di magistrati requirenti”, aveva detto ancora Lia Sava. Che durante la requisitoria ha parlato di “prove”, a partire dalle “intercettazioni ambientali e telefoniche”. “Io ho seguito questo processo anche come Procuratore facente funzione – ha detto- le intercettazioni, sia quelle ambientali che telefoniche, non solo venivano ascoltate dalla Polizia giudiziaria, ma i colleghi che in primo grado si occupavano del procedimento, le riascoltavano tutte, anche queste per l’estreno scrupolo che avevamo nel maneggiare questo materiale. Si tratta di intercettazioni ascoltate e riascoltate che hanno dato rappresentazione delle cointeressenze e dei legami degli imputati”. 

Accuse sempre respinte dalla difesa. “La sentenza di primo grado ha assolto la mia assistita dalla stragrande maggioranza dei capi di imputazione, per i due terzi dei capi di imputazione. Una sentenza che ha una sua connotazione di approfondita conoscenza degli atti, di ricostruzione del fatto. Esprimo la mia stima incondizionata per i magistrati del tribunale, un patrimonio morale di arricchimento”, ha detto l’avvocato Ninni Reina, legale dell’ex giudice Silvana Saguto, durante la sua arringa difensiva nel processo d’appello. L’avvocato Reina ha ribadito più volte, durante l’arringa, che c’è stata una grande “discussione mediatica” nel processo su Saguto. “Nel maggio del 2015 c’e stata la prima trasmissione mediatica dove il punto era se fosse giusto, dal punto di vista sociale, che il marito di un magistrato abbia incarichi di coadiutore di un amministratore giudiziario, questo è il punto? Si parla di ‘mercimonio della funzione’ perché il marito di un magistrato è amministratore giudiziario, questo è l’incipit di tutta la vicenda”. E ha proseguito: “La difesa è stata impegnata dall’inizio su quale fattispecie di reato c’è se una amministrazione non palermitana indica come coadiutore amministratore, dove c’è l’esigenza di una certa trasparenza di persone, il marito di un giudice delegato. Quale illecito penale compio, dover dire a mio marito che non può farlo? L’unica misura che era a Palermo era la misura Buttitta che risaliva 2008, affidata all’avvocato Cappellano Seminara da altri magistrati e la Saguto non ci ha mai messo mano”. Oggi la parola passa alla Corte d’Appello. Che dovrà decidere se confermare o no la condanna di Silvana Saguto. La sentenza è prevista intorno alle 13.30 

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