«A Bari, nei centri centri di salute mentale, oggi ci sono i vigilanti, quindi qualcosa è cambiato. Ma il personale è carente e se i centri sono sguarniti si pone anche un problema di sicurezza». Lo ha detto Vito Calabrese, marito di Paola Labriola, psichiatra che lavorava nel centro di salute mentale del quartiere Libertà, a Bari, dove fu uccisa a coltellate da un paziente il 4 settembre di dieci anni fa.
Nell’anniversario, oggi, proprio davanti al presidio ormai chiuso dal 2013, la dottoressa è stata ricordata nel corso di un sit-in organizzato dall’osservatorio Paola Labriola e dall’associazione Giraffa onlus.
Presenti, fra gli altri, l’assessora comunale al Welfare, Paola Romano, il vice presidente dell’Ordine dei medici di Bari, Franco Lavalle, e il marito della psichiatra uccisa, Vito Calabrese.
Decine di persone si sono date appuntamento per commemorare la professionista, per lasciare un messaggio di ricordo, ma anche per chiedere più sicurezza e la riapertura del centro di salute mentale del quartiere Libertà. «Non è stato più riaperto, mi sembra incredibile. In questo modo – ha detto Calabrese – i cittadini vengono colpevolizzati. Questo è un quartiere complesso, con tante problematiche sociali, e le persone sono costrette ad andare in altri quartieri per avere questo servizio».
Proprio per restituire al quartiere Libertà un centro di salute mentale, sono in corso interlocuzioni tra la Asl e il Comune di Bari «per la riapertura [del Csm, n.d.r.] in alcuni locali messi a disposizione dall’amministrazione» in via Davide Lopez.
«L’obiettivo – ha spiegato l’assessora comunale alle Politiche giovanili, Paola Romano – è ridare a questo quartiere un servizio fondamentale, soprattutto oggi che la necessità di un luogo di cura come questo è aumentata molto». Romano ha ricordato che il Comune a Paola Labriola ha dedicato un asilo nido, «perché i luoghi di cura per sostenere i più fragili sono fondamentali. Attendiamo quindi la riapertura del centro di salute mentale per questo quartiere. Tutto il sistema sanitario è fortemente in sofferenza – ha aggiunto – perché la richiesta è aumentata, ma in tutta Italia il numero di addetti non è sufficiente. Ci auguriamo che questo trend negativo si inverta e che migliorino i protocolli di sicurezza».
E più sicurezza per gli operatori sanitari chiede anche il vicepresidente dell’Ordine dei medici di Bari, Franco Lavalle: «Quando si verifica una violenza – ha affermato – questa è rivolta non solo contro gli operatori sanitari, ma può coinvolgere vittime incolpevoli come gli utenti che in quel momento si trovano nelle strutture. Alla politica, al servizio sanitario, a chi gestisce e tutela l’interesse delle persone – ha spiegato – chiediamo che si facciano più sforzi affinché la sicurezza del lavoro sia sempre tenuta in considerazione. Non si può andare a lavorare e morire a causa di carenze nella sicurezza, occorre fare ogni sforzo per rendere sicuro qualunque tipo di lavoro».