(Adnkronos) – (di Elvira Terranova) – “Io continuo ad avere un grande rispetto per i ,ma sono davvero amareggiato per quello che scrivono nelle motivazioni della sentenza. Io, in quel momento, mi ero appena imbattuto nel cadavere del mio amico Paolo (Borsellino ndr), che era senza gambe e senza braccia. Ho fatto fatica a riconoscerlo. E c’era questa storia della borsa, ovviamente chiusa. Io ignoravo il contenuto della borsa e mi sono confuso. A distanza di anni. Dopo 15 anni, 20 anni”. A parlare con l’Adnkronos è l’ex giudice Giuseppe Ayala, commentando le ‘bacchettate’ nei suoi confronti dei giudici del Tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo depistaggio Borsellino. Ayala fu ascoltato più volte nei processi sulla strage sulla borsa del giudice.
“Pur comprendendone lo stato emotivo profondamente alterato, appare inspiegabile il numero di mutamenti di versione rese nel corso degli anni in ordine alla medesima vicenda”, scrivono i giudici su Ayala. Per i giudici “restano insondabili le ragioni di un numero così elevato di cambi di versione, peraltro su plurime circostanze del narrato”. “Ricordo che c’era una testimonianza del giornalista Cavallaro – dice Ayala – che era più lucido di me e che raccontò quello che è successo. Questo attacco alla mia persona mi amareggia. E anche molto”. E ricorda la “famosa foto di Tony Gentile che vede Borsellino e Falcone insieme sorridenti, fu scattata il 28 marzo 1992 in una iniziativa a sostegno della mia candidatura. I rapporti erano questi e lo possono dire tutti”.
“Ayala – scrivono i giudici – sentito a sommarie informazioni il 12 settembre del 2005, successivamente al ritrovamento della foto che ritraeva il capitani Arcangioli con in mano la borsa del giudice, egli, operando una drastica riduzione del tempo di permanenza sui luoghi, da un’ora a venti minuti, ha affermato che non era più un ufficiale dei carabinieri in divisa a estrarre la borsa dalla macchina, ma egli stesso che nel frangente provvedeva a consegnarla all’ufficiale”. “Sentito nuovamente a sommarie informazioni testimoniali l’8 febbraio del 2006 Ayala ha modificato nuovamente la propria ricostruzione dei fatti affermando di essere certo che chi ha prelevato la borsa dall’auto fosse in borghese e non in divisa, che non è stato lui a estrarre a borsa, ma che l’ha presa in mano e consegnata ad un ufficiale in divisa”. Per i giudici nisseni “restano insondabili le ragioni di un numero così elevato – certamente non fisiologico – di cambi di versione, peraltro su plurime circostanze del narrato”.
Ma per Ayala, i giudici “non tengono conto delle condizioni in cui mi trovavo in quel momento della mia vita, personale e professionale, del grande legame che notoriamente mi univa a tutti i membri del pool, lo sanno tutti, ma come si fa a dubitare? Un po’ di prudenza andrebbe suggerita ai magistrati”. Ayala parla anche “del rischio dietrologico, che va di gran moda. Ne prendo atto”. “Sono tranquillo, per me parla la mia vita professionale, questo mi dispiace dal punto di vista umano”.
Poi, tornando a quel giorno, Ayala dice: “Io ero traumatizzato, mi esaminavano a distanza di anni, in quel momento ero fisicamente presente ma con la testa fuori di me, ero inciampato nel cadavere di Paolo e quello che rimaneva di Paolo. Mi sembra una affermazione assurda, io ho grande rispetto per la magistratura ma francamente mi pare che dal punto di vista umano c’è poca comprensione”.
E conclude: “Quando una versione è costruita è una sola, e l’ho potuto appurare nella mia vita professionale da magistrato. Ma quando non è costruita, con il passare degli anni si fa sempre più fatica a ricordare i dettagli. Questa è la prova provata della mia sincerità. Sono davvero amareggiato”.