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Alzheimer, ok Usa a farmaco: quando arriva in Italia

(Adnkronos) - E' un farmaco che ha "un effetto biologico sui due principali agenti causali della malattia di Alzheimer". E, nonostante il dibattito su alcuni effetti avversi che ne rendono delicata la gestione, dopo l'ok incassato da lecanemab negli Usa da parte della Fda c'è molta attesa per il suo possibile arrivo in Europa e…

(Adnkronos) – E’ un farmaco che ha “un effetto biologico sui due principali agenti causali della malattia di Alzheimer”. E, nonostante il dibattito su alcuni effetti avversi che ne rendono delicata la gestione, dopo l’ok incassato da lecanemab negli Usa da parte della Fda c’è molta attesa per il suo possibile arrivo in Europa e quindi in Italia. Da qualche giorno “l’azienda farmaceutica ha inviato il dossier all’Agenzia europea del farmaco Ema in Europa e vedremo nei prossimi mesi quale sarà la risposta. Questo passaggio sarà a sua volta seguito dal pronunciamento dell’Agenzia italiana del farmaco Aifa. Questo per segnalare che ancora questo farmaco non è disponibile in Italia e così sarà presumibilmente per almeno un anno”. A spiegarlo è Alessandro Padovani, direttore della cattedra di Neurologia e della scuola di specialità in Neurologia all’Università degli Studi di Brescia e presidente eletto della Società italiana di neurologia (Sin), in una lettera inviata all’Aima, l’Associazione italiana malattia di Alzheimer, che rappresenta le persone con demenza e le loro famiglie. 

Questa attesa di un anno non sia fine a sé stessa, chiede l’associazione. “La disponibilità di un farmaco in grado di intervenire sulla malattia e non solo sui sintomi apre la porta alla cura e ci permette di guardare con speranza al futuro”. Mentre “aspettiamo che il nuovo” anticorpo monoclonale “sia introdotto in Europa e in Italia, nel frattempo dobbiamo adeguare la rete diagnostica”, è l’auspicio espresso dalla presidente di Aima, Patrizia Spadin. In Italia si stimano oggi circa 1,2 milioni di casi di demenza, di cui circa 700mila di malattia di Alzheimer. Di questo ultimo gruppo, circa il 10-15% ne soffre in una forma lieve e sono queste che potrebbero usufruire di questo trattamento. 

“Per sfruttare le potenzialità di questo nuovo farmaco – ammonisce Spadin – è fondamentale dare vita a un piano di interventi concreti ed efficaci, in primis il potenziamento dei Cdcd (Centri per i disturbi cognitivi e le demenze): se oggi un paziente con sintomi conclamati arriva alla diagnosi mediamente con 10-12 mesi di ritardo, cosa succederà domani ai pazienti con sintomi lievi o lievissimi se le cose non cambieranno? Intercettare la malattia prima che sia conclamata sarà fondamentale quando il farmaco sarà disponibile e ci auguriamo che Ema e Aifa si pronuncino positivamente appena possibile”. 

Dal canto suo Padovani ritiene che “questo trattamento” approvato negli Stati Uniti “confermi che i farmaci anti-amiloide sono biologicamente efficaci nel ridurre l’accumulo di amiloide, sono efficaci nel rallentare la progressione di malattia, hanno un’azione favorevole nelle forme lievi (parliamo quindi di pazienti che ancora mantengono una discreta autonomia negli atti della vita quotidiana e una discreta capacità cognitiva)”. I principali dati, continua l’esperto, “indicano che questo farmaco diretto nei confronti della proteina Beta amiloide è capace di ridurne l’accumulo a livello della corteccia cerebrale e nello stesso tempo di ridurre la degenerazione neurofibrillare contrastando la fosforilazione della proteina Tau. Quindi – ribadisce – in pratica, ha un effetto biologico sui due principali agenti causali della malattia”.  

Ma questo non è un punto di arrivo, puntualizza, bensì di partenza. “Presto – conclude – saranno disponibili altri risultati con altri farmaci. Questo per dire che la strada non finisce con lecanemab: siamo solo agli inizi di un lungo viaggio, ma sappiamo dove andare”.  

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