(Adnkronos) – I giudici di Milano hanno stabilito che è “necessario” eseguire una perizia nei confronti di Alessia Pifferi, in carcere per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di soli 18 mesi, per accertare “la sussistenza al momento del fatto della capacità di intendere e volere” oltre al “quadro di pericolosità sociale”. L’incarico, a cui si era opposta la procura di Milano e la parte civile, è stato conferito al professore Elvezio Pirfo, medico specializzato in psichiatria.
La decisione della corte, presieduta dal giudice di Milano Ilio Mannucci Pacini, arriva dopo la scelta di non ascoltare i consulenti della procura, ma di conferire a un perito – l’udienza per l’incarico è fissata per il 13 novembre prossimo – il conferimento di un accertamento che possa far luce sulla capacità dell’imputata. Per il pm Francesco De Tommasi, che nel suo intervento si è opposto più volte alla perizia psichiatrica, Alessia Pifferi “entra in carcere senza pregressi psichiatrici, entra a San Vittore dopo essersi sottoposta a interrogatorio” e nel ricostruire quanto accaduto il 20 luglio 2022 “segue un ordine logico e cronologico, insomma non emerge nessuna problematica. Per diversi mesi la Pifferi è una persona che sta benissimo, ha la piena capacità di esporre i fatti, di relazionarsi, è lucida non ha nessun tipo di problemi”, poi il test Wais (per valutare l’intelligenza negli adulti, la difficoltà di apprendimento, il deterioramento cognitivo e il quoziente intellettivo) fatto dai medici all’interno del carcere ‘trasforma’ il quadro.
“E’ un metodo anomalo”, che poco dice da solo, ma che soprattutto per il pm “fuoriesce dalle competenze della struttura psichiatrica del carcere”. La pubblica accusa non contesta solo il metodo, ma anche l’oggetto dell’accertamento che ha come effetto “quello di manipolare il cervello della Pifferi rendendo oggi impossibile ripetere un accertamento di questo tipo”. De Tommasi contesta che l’imputata abbia un Qi di 40 – “non sarebbe stata in grado di dire nulla, di relazionarsi, di fornire delle risposte che nella loro assurdità sono risposte chiare” – e rigetta l’idea di una perizia che dovrebbe fondarsi su una documentazione che non riconosce. “Gli esiti non sono assolutamente credibili, non ci sto a essere preso in giro sotto questo profilo. Riteniamo assolutamente inutile una perizia sulla capacità cognitiva e non necessaria una perizia sull’imputabilità perché non c’è nessun tipo di elemento che possa mettere in discussione la capacita dell’imputata di rendersi conto di quello che stava facendo” conclude De Tommasi che chiede di escludere i documenti degli psicologi del carcere.
Un no alla perizia condiviso dall’avvocato di parte civile, Emanuele Di Mitri che ricorda l’assenza di pregresse patologie psichiatriche e la piena capacità della donna alla sbarra. “L’infanzia infelice non elide il confine tra giusto e sbagliato, la Pifferi sapeva quello che stava facendo, che il digiuno prolungato della sua bambina ne avrebbe determinato la morte”, spiega in aula. “Sono desolata da questo terrore per l’espletamento di una perizia – sottolinea il difensore Alessia Pontenani -, il test non si può falsare e non capisco se il pm sta insinuando che abbiano manipolato la testa dell’imputata. E’ stata depositata tutta la documentazione medica del carcere, li c’è tutto e non c’è nessuna strategia processuale” conclude la legale.
“Non ci sto ad essere preso in giro, Alessia Pifferi non ha alcun problema mentale e ha avuto un atteggiamento scellerato nei confronti della figlia”. Il pm di Milano Francesco De Tommasi, rappresentante dell’accusa insieme alla collega Rosaria Stagnaro, rigetta i presupposti con cui i medici del carcere di San Vittore arrivano alla conclusione, insieme ai consulenti della difesa, che Alessia Pifferi necessiti di una perizia psichiatrica.
Per il pm siamo di fronte “all’assenza a oggi di basi tecnico scientifiche che giustifichino un accertamento sotto il profilo delle capacità mentali” e l’utilizzo del test di Wais non risponde alla prassi abitualmente in uso in questi casi, spiega citando il proprio consulente, il professor Marco Lagazzi. “Non si può non essere perplessi per l’attuazione di un test che non ha nulla a che fare con la gestione penitenziaria, ma è utile per la difesa penale, e per una intensiva rilettura del caso fatta con l’imputata di un così grave reato. L’impressione che si trae da tutto questo – si legge nella relazione del consulente depositata alle parti processuali – è che ciò renda tra l’altro ormai inutile qualsiasi esame peritale, perché valuterebbe non i vissuti della persona, ma ciò che la stessa ha riferito di avere appreso e discusso nel lavoro con le psicologhe, unitamente al suo deresponsabilizzante convincimento di essere lei stessa una bambina”.
L’effetto, oltre a quello di ‘manipolare’ la mente dell’imputata, è che le responsabilità “scivolano verso altri e la persona diviene non solo ‘innocente’ ma anche rivendicatrice, e la povera bambina, esattamente come nella mente della persona, resta esclusa dalla elaborazione, ancora una volta messa da parte”. Conclusioni che non hanno convinto la corte che ha deciso di disporre la perizia psichiatrica (chiesta dalla difesa e a cui si era opposta anche la parte civile) per accertare “la sussistenza al momento del fatto della capacità di intendere e volere” della Pifferi oltre al “quadro di pericolosità sociale”. L’incarico è stato conferito al professore Elvezio Pirfo, medico specializzato in psichiatria.