Si è trattato di un grande e surreale misunderstanding: Paolo Nori, scrittore e traduttore, autore tra le altre cose di “Sanguina ancora”, che riceve di prima mattina una mail dall’università Bicocca: «Gentile Professore, non possiamo procedere con il corso su Dostoevskij perché in questo momento vogliamo evitare ogni tipo di polemica». Ogni tipo di polemica, scrivono proprio così. È questo il punto, a detta dello stesso Nori: uno scrittore morto, condannato ai lavori forzati in Siberia negli ultimi anni della sua vita, costretto a subire l’onta del dilagante sentimento antirusso.
L’abitudine di confondere i popoli con i loro governi è utile a scaldare gli animi, a creare un clima da stadio, da tifo di curva, se vogliamo anche da polarizzazione social – i buoni, i cattivi, i pro e i no qualcosa – ma diseduca alla complessità e al suo valore. Scegliere di non far partire un corso su Dostoevskij, la decisione di comunicarlo in maniera così superficiale, a mezzo mail e senza possibilità di confronto, senza nessuno che alzi la mano per dire «forse ci dovremmo pensare un attimo, magari è una decisione avventata» ci dà il metro della misura. Della poca sensibilità, ma anche della non conoscenza di quello che è il mondo dei social, l’influenza (meritata) di autori come Paolo Nori che hanno una community di fedelissimi su Instagram.
Qualche ora dopo, infatti, anche grazie alla solidarietà della rete con Nori, alle tante condivisioni su Instagram, ai tweet e agli status di sdegno, è arrivata la smentita di Bicocca. Raffazzonata e, se possibile, peggiore della mail di cancellazione del corso: «Torniamo sui nostri passi, ma chiediamo al Professor Nori di parlare anche di autori ucraini. Per ristrutturare il corso e ampliare il messaggio per aprire la mente degli studenti». Il Professore risponde che no, non conosce in maniera così approfondita autori ucraini, che non condivide questa idea che se si parla di un autore russo bisogna parlare anche di un autore ucraino e quindi si considera libero di fare il suo corso altrove. Approfondendo richieste che, nel frattempo, sono arrivate da molte università e da scuole come la Holden.
La morale perfetta della triste faccenda è quella di Gennaro Carotenuto, espressa in un tweet: «Abbiamo così poca fiducia nei valori fondanti della nostra democrazia, nel pluralismo, nella libertà di espressione che, non appena qualcun altro viola tali valori, riteniamo necessario abbassarci al suo livello». È il clima della chiamata alle armi, come se essere russo, tedesco, israeliano o palestinese fosse di per sé una colpa. Dimenticandoci che la cultura non ha nazionalità, appartiene all’umanità come Dostoevskij. E sono da sempre la cultura e l’umanità le uniche vere armi contro la violenza, quindi contro la guerra. È evidente che chi vuole bandire Dostoevskij pensando di contribuire alla giustizia per i fatti di questi giorni non ha mai letto Dostoevskij. E forse non solo lui.