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Sesso, aborti e sfruttamento. Il lavoro violato delle donne: da tutta la Puglia le chiamate a Giraffa Onlus

Nelle serre del nord barese, nei campi del foggiano o nei centri estetici della regione. Si consumano così, nei luoghi erroneamente ritenuti sicuri, le storie di lavoro rubato, violato. E sono le storie di donne costrette a raccogliere patate, pomodori e angurie per 25 euro al giorno, a concedersi ai caporali per non perdere tutto,…
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Nelle serre del nord barese, nei campi del foggiano o nei centri estetici della regione. Si consumano così, nei luoghi erroneamente ritenuti sicuri, le storie di lavoro rubato, violato. E sono le storie di donne costrette a raccogliere patate, pomodori e angurie per 25 euro al giorno, a concedersi ai caporali per non perdere tutto, o a oltrepassare la barriera del lecito nella giornata da massaggiatrici.

Bulgare, polacche, rumene e ucraine arrivano dall’Est Europa e finiscono piegate sui campi durante il giorno, sui giacigli del datore di lavoro la sera. «Le lavoratrici popolano veri e propri ghetti sorti nelle campagne intorno alle città – scrivono le professioniste di Giraffa onlus, che da 24 anni dà accoglienza e assistenza a donne maltrattate – o vivono nei casolari abbandonati, in situazioni abitative degradate, condizioni igienico-sanitarie ai limiti della sopravvivenza e dignità calpestata».
Ma non solo: «L’emergenza riguarda anche gli aborti – denunciano – Secondo stime approssimative, si tratta di 5 o 6 interruzioni di gravidanza la settimana, cui si aggiungono gli aborti clandestini sul territorio. Giungono diverse segnalazioni alla postazione Puglia del numero verde anti tratta dei servizi sociali sanitari, di donne che si rivolgono al pronto soccorso in seguito ad epistassi, per essere state sottoposte ad aborti clandestini».
E poi ci sono le storie di giovani donne cinesi, come quella di Anna (ndr, il nome è di fantasia), che rispose a un annuncio per lavorare in un centro massaggi a Foggia e poi finì, costretta dalla sua titolare, anche lei di nazionalità cinese, a prestazioni sessuali. Fece denuncia e fu accolta in una struttura di accoglienza, ora gestisce un bar nel Nord Italia assieme a sua figlia che l’ha raggiunta in Italia.
O quella di una 42enne che aveva conosciuto su internet una connazionale: qualche contatto e poi l’invito a spostarsi a Taranto per il “solito” lavoro di massaggiatrice. Finì in un appartamento dove c’erano connazionali che, come fu costretta a fare, si prostituivano. Il denaro guadagnato dalle donne, che fra loro si chiamavano “sorelle”, veniva consegnato a una intermediaria per finire poi nelle mani della finta amica conosciuta sul web. Fino a quando non trovò il coraggio di denunciare la sua sfruttatrice e, assistita da Giraffa, fu accolta in un programma di protezione e reinserimento. Oggi lavora in un ristorante.
Emblematica la storia di una terza donna, che lavorava in un laboratorio per la produzione di materiale elettrico, gestito da una connazionale. Durante il giorno aveva diritto a tre pause di pochi minuti, i pranzi erano serviti all’interno e le stanze per dormire erano al piano superiore dello stesso edificio. La paga concordata era di 10 euro al giorno.

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