Sono nove gli imputati che, a vario titolo, rischiano una condanna per disastro ambientale nell’incidente accertato ufficialmente il primo febbraio del 2017 nello stabilimento “Centro Oli Val d’Agri”. Il processo Eni prende forma nelle maglie della complicata istruttoria dibattimentale giunta, a sua volta, ad un incrocio delicatissimo: la discovery card tra accusa e difesa nell’udienza del prossimo 6 marzo quando, dinanzi al Tribunale collegiale di Potenza, sarà ascoltato il consulente tecnico d’ufficio, Greco.
A tenere banco, in questa fase processuale, è l’accertamento della verità sullo sversamento di 400 tonnellate di greggio, circostanza per cui il gestore Eni dovrà spiegare se si è conformato o meno, in occasione della manutenzione straordinaria quinquennale, sulla scorta dell’esito di dette verifiche, ad un piano di realizzazione del doppio fondo anche tenendo conto degli incidenti, in caso di sversamenti del greggio.
Secondo la difesa, Eni, a suo tempo, aveva già comunicato di aver preso in considerazione l’evento e di averlo reso non verosimile, sia mediante l’effettuazione di attività preventiva di ispezione programmata decennale dei serbatoi di stoccaggio, secondo le specifiche previste delle norme Api (American Petroleum Institute), sia mediante gli accorgimenti costruttivi preesistenti, consistenti nella posa in opera sotto ogni serbatoio di uno strato di conglomerato bituminoso impermeabilizzante alto 80 mm, con pendenza dell’1% verso il bordo del bacino di contenimento, nonché di pozzetti di scarico di fondo e portine di ispezione, per la verifica e la raccolta del prodotto in caso di eventuale perdita di greggio dal fondo del serbatoio,
Ad onore del vero, la politica manutentiva dei serbatoi di stoccaggio prevede attualmente ispezioni interne con cadenza almeno decennale. Tale frequenza trova corrispondenza con la velocità di corrosione stimabile sulla base dei controlli fatti durante l’ultima decennale. Tuttavia, Eni, nell’ottica del miglioramento continuo a cui sono indirizzati i propri Sistemi di Gestione della Sicurezza e dell’Ambiente nonché recependo la particolare attenzione di Arpab sulla tematica specifica, ha implementato, a partire dal 2013, un programma di ispezione interna dei quattro serbatoi a ciclo quinquennale.
Eni avrebbe quindi, deciso di procedere direttamente alla realizzazione dei doppi fondi, indipendentemente dagli esiti delle verifiche, attraverso un programma quinquennale, come sostenuto dalla difesa.
Volendo fare un passo indietro, nell’ultima udienza di giugno 2023, non è stato ammesso, sempre per esplicita richiesta della difesa, il “memoriale” dell’ingegnere Gianluca Griffa, l’ingegnere piemontese morto suicida a 38 anni ed ex responsabile della produzione del Centro Olio. In una lettera-testamento ritrovata dopo la sua scomparsa, nel 2013, Griffa aveva evidenziato una serie di problematiche nella gestione dell’impianto.
Secondo gli inquirenti, i manager Eni attualmente a processo per i danni causati dallo sversamento avrebbero tenuto nascosto per anni i problemi di corrosione dei serbatoi di stoccaggio del greggio appena lavorato nell’impianto. A portare gli inquirenti sulle loro tracce era stata proprio la lettera di Griffa, in cui si raccontava delle “difficoltà” incontrate con i propri superiori per aver sollevato la questione del possibile malfunzionamento di una parte dell’impianto lucano.