Pubblicato il nuovo disco di Giuseppe Bassi e Sumire Kuribayashi “I will touch you”. A breve uscirà anche un film firmato dal musicista barese, in corsa per il prossimo Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
Giuseppe Bassi, talentuoso contrabbassista e compositore barese di rara sensibilità, ha un solo vizio: il sugo di pomodoro. Non è uno scherzo: «È quasi una droga, devo mangiarlo almeno una volta al giorno» racconta divertito. Ne è talmente ghiotto che gli ha intitolato la sua nuova etichetta discografica, “Doppio sugo”, fondata con tre grandi amici, tutti appassionati di musica, Giappone e sugo, naturalmente.
Dopo “Atomic Bass” (Verte Records, portato in tour in Giappone), il primo disco con il nuovo logo, “I will touch you” (Ti toccherò), pubblicato il 12 dicembre, porta la sua firma e quella di Sumire Kuribayashi, pianista e compositrice di Saitama, a pochi km da Tokyo, uno dei migliori talenti della moderna scena jazzistica giapponese.
Giuseppe Bassi, il nuovo album suona note d’anima per piano solo e contrabbasso. Come nasce tanta intensità?
«È una storia che si racconta da sola. Il disco contiene una parte delle canzoni che Sumire ha ma ha inviato dal 12 marzo 2020, per tutto il lock down. Come al karaoke, ho solo lasciato che il mio contrabbasso cantasse le note della sua sensibilità. Per darmi una parvenza di normalità, ogni giorno alle 17.30 mi collegavo su Facebook, scaricavo il nuovo brano di Sumire e lo raccontavo alle persone connesse, unendomi a loro e a lei con il contrabbasso».
Ogni singolo giorno per sette mesi?
«Ininterrottamente. Dall’altra parte del mondo, sembrava che solo noi avessimo il virus, è stato sconvolgente. Chi ha una sensibilità artistica come Sumire, ha sofferto insieme a noi. In questo stato emotivo enorme, ha cominciato a scrivere musica, mettendoci tutto l’amore per l’Italia, e inviandola a me, che ai suoi occhi rappresento il Paese più bello del mondo. Quest’anno, non potendoci ancora incontrare di persona, l’ingegneria del suono ha fatto sì che sembrasse che lei e il suo pianoforte fossero qui, con me al contrabbasso, ed è nato “I will touch you”: il disco più importante della mia carriera, un auspicio per tutte e tutti noi, l’augurio che possiamo presto tornare a toccarci senza paura di contagio».
Con voi due è facile sognare e perdere i confini.
«Insieme suoniamo i nostri stati d’anima, i suoi ricordi dell’Italia (dove lei vorrebbe trasferirsi) e i miei del Giappone (dove vorrei trasferirmi io)».
Vi incontrate nella musica però.
«E nelle tante affinità delle nostre culture, come il romanticismo. Anche se, secondo lei, noi italiani siamo molto diversi uno dall’altro e i giapponesi troppo schematizzati. Dice che l’Italia è il paese della libertà; libertà che loro vivono solo a livello di relazioni molto intime, se non solo in relazione con sé stessi. Per contro, noi pensiamo di avere spiritualità, ma non c’è paragone con l’animismo giapponese, loro mettono l’anima anche in un pezzo plastica: se tu tocchi qualcosa, per loro quella cosa è un pezzo di te, e la trattano di conseguenza».
Sensibilità che hanno dato vita al film “Yomigaeru” (Rivivere) che, a giorni, potrebbe essere selezionato per il prossimo Festival del Cinema di Berlino. Ce lo racconta?
«L’ho girato nei pressi della centrale atomica di Fukushima, con un contrabbasso. In qualche modo subisco il fascino dei disastri naturali, oltre quello dei giocattoli, che colleziono».
Giocattoli e disastri naturali? Ci aiuti a capire.
«Puoi comprenderlo quando sei in quel posto fantasma, dove la natura, dopo undici anni dallo tsunami e dalla devastazione delle emissioni radioattive, sta creando scenari inimmaginabili. Puoi incontrare gruppi di cani rimasti soli in branco e amicizia con struzzi e mucche, e persone che sono tornate lì a vivere per dar loro da mangiare, o per piantare un albero dove non c’era più e fiori per riportare bellezza; per dare un senso alla loro esistenza. Puoi entrare in una casa strappata via dallo tsunami insieme a intere città e toccare un pianoforte ribaltato, sapendo che lì c’era vita, gioia. O raccogliere un giocattolo restituito dal mare, ed entrare in contatto con il bambino che ci giocava. I giocattoli posso parlarti di storie pazzesche, un po’ come gli strumenti musicali, hanno una grande anima, come il Giappone. È un’esperienza surreale, che definirei mistica: cercare di inventarsi storie in cui vivere. E raccontarle».
Come lo stesso Giuseppe ha dichiarato nel 2019, quando un mercantile si incagliò sul litorale barese, ed insieme ad altri quattro musicisti improvvisò un concerto per l’equipaggio del rimorchiatore Galesus: «la musica porta conforto e nutrimento in momenti di sofferenza e difficoltà». A noi non resta che goderne, in attesa di tornare ad abbracciarci.