L’edizione 2022 della rassegna Amabili Confini è partita sotto i migliori auspici con l’anteprima del 5 maggio al Museo Nazionale “Domenico Ridola” di Matera che ha visto come ospite Enrico Terrinoni, scrittore e traduttore che ha curato, tra le altre, le traduzioni di James Joyce. Il suo ultimo lavoro come scrittore si intitola “Chi ha paura dei classici?”. Quest’anno l’”Ulisse” dello scrittore irlandese compie 100 anni dalla sua prima pubblicazione e Bompiani lo ha riportato in libreria in un’edizione da collezione, la prima con testo originale a fronte e con note e approfondimenti da non perdere, curati dallo stesso Terrinoni. Classici che «vengono dal passato, ma vivono di futuro», dice.
Chi ha paura dei classici?
«La questione è nata da una diatriba sorta sui giornali italiani tra giovani scrittori contemporanei che avevano sostenuto che non è importante leggere i classici oggi. Ma un libro diventa un classico se non muore, e se rimane in vita lo fa per un motivo: il classico parla, e lo fa al futuro».
Un caso?
«Un esempio che si fa di questi tempi è “Animal Farm” (La Fattoria degli animali) di George Orwell, che allora fu letto come quello che era: un’allegoria dello stalinismo. Quando dovevo tradurlo mi sono posto il problema: se questa storia ha come sottotitolo “fairy tale”, e cioè una favola, non sarà scritto anche per bambini e giovani? Che possono vederlo come un’allegoria di situazioni che potrebbero vivere. Se lo leggiamo ancora oggi non è per sapere qualcosa di Stalin, ma per comprendere che può esserci una persona che possa sembrarti amica e invece si comporta in modo violento».
Joyce è noto anche per i “flussi di coscienza”. Esistono ancora oggi, nel parlare comune e nella letteratura?
«Il flusso di coscienza è il modo naturale di esprimersi e di pensare. Nella letteratura Joyce ha avuto pochi successori, ma nella poesia e nel teatro è stato messo in pratica in maniera capillare. Qualche settimana fa è uscito un libro del più grande poeta italiano contemporaneo, Gabriele Frasca: “Lettere a Valentinov”. È un romanzo che sembra in prosa, poi se ci fai caso noti che è scritto in endecasillabi. Descrive l’oggi e lo ha scritto in flusso di coscienza determinato da strutture metriche e poetiche che hanno un debito nella scrittura di Joyce».
Lei ha detto che Joyce era “l’autore di tutti rapito dagli intellettuali”. Le nuove traduzioni possono restituirlo a tutti?
«Credo di sì. L’Italia è un caso fortunato, ha tantissime traduzioni dell’Ulisse. Le traduzioni sono sempre popolarizzazioni, significa andare incontro all’altro. Sono atti di democrazia».