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Referendum, crepe tra i dem sul Jobs Act. Il centrodestra invita a disertare le urne

I referendum dei prossimi 8 e 9 giugno, in particolare i quesiti contro il Jobs Act, mettono alla prova anche gli equilibri interni nel Pd. Tra la corrente riformista, che fa a capo all’eurodeputato Stefano Bonaccini, sconfitto da Elly Schlein nella corsa alla segreteria, l’orientamento sarebbe quello di votare sì per la cittadinanza e per…
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I referendum dei prossimi 8 e 9 giugno, in particolare i quesiti contro il Jobs Act, mettono alla prova anche gli equilibri interni nel Pd. Tra la corrente riformista, che fa a capo all’eurodeputato Stefano Bonaccini, sconfitto da Elly Schlein nella corsa alla segreteria, l’orientamento sarebbe quello di votare sì per la cittadinanza e per la sicurezza sul lavoro; no o scheda bianca invece alla cancellazione delle norme su licenziamenti e contratti a termine introdotte dal governo Renzi. Non si tratterebbe di una vera linea, ma di una posizione emersa esercitando libertà di coscienza a margine di una riunione di area convocata su altri temi. L’indicazione ufficiale di Schlein, che ha firmato tutti e cinque i referendum, è quella di votare cinque sì. Nonostante questo, la leader dem ha sottolineato durante l’ultima direzione che «non saranno chieste abiure a nessuno», come ricordano i riformisti.

L’affondo di Renzi

E il padre di quelle riforme, Matteo Renzi, mette invece il dito nella piaga: «Il fatto che il Pd abbia detto di votare sì è la prova certificata che il Pd non è più quello di prima», ma «per vincere il Pd ha bisogno anche dei riformisti di centrosinstra». E lancia un messaggio alla minoranza dem: «Ai riformisti dico: le porte di Italia Viva sono aperte. Noi vogliamo costruire una coalizione in cui il peso delle nostre idee conti. Senza di noi si perde, lo abbiamo visto». La posizione della maggioranza dem è agli antipodi: i quesiti referendari «non devono essere una rivincita sul Jobs act, ma l’occasione per chiudere una stagione in cui si è pensato che la competitività si potesse realizzare con maggiore flessibilità e la svalutazione del lavoro», spiega Andrea Orlando. «Questa non è la strada. Dopo un anno dall’approvazione del Jobs Act, finiti gli incentivi, in diversi segnalammo come fosse cessata la spinta alle stabilizzazioni dei rapporti di lavoro. Oggi a fronte della scarsità di manodopera e alla difficoltà alla sua qualificazione, la priorità non è, semmai lo è stata, la flessibilità ma la protezione e la valorizzazione del lavoro anche come fattore di competitività», conclude Orlando.

Il centrodestra

Dai partiti di governo, invece, è partito l’invito a non presentarsi alle urne. A spiegare le ragioni di questa posizione, tra gli altri, Antonio Tajani, che tira in ballo l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «È legittimo invitare all’astensione? “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. Parole di Giorgio Napolitano in una intervista a Repubblica del 14 aprile 2016», ha scritto su X il vicepremier.

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