Per me, come per gran parte degli uomini, il carcere era un luogo da evitare, perché abitato da “delinquenti”, da gente poco raccomandabile, con cui era meglio non avere a che fare. M’intimoriva e mi sentivo inadeguato e impreparato a ricoprire quel ruolo da docente, in quel mondo a me sconosciuto. Subito mi misi alla ricerca di testi attinenti e funzionali all’insegnamento, che lessi con grande avidità. Trovai poco sulla docenza in carcere, quasi non fosse contemplata nell’ordinamento scolastico, ma trovai nelle persone care e in docenti sapienti e dediti il conforto e l’incoraggiamento, che mi spinsero ad intraprendere con serenità quella strada, in totale fiducia nella forza d’animo quale azione motrice di innovamento.
Fin dal primo momento e, nonostante i dubbi e le perplessità, avvertivo dentro di me un’attrazione che mi portava verso una risposta positiva. Arrivò settembre e finalmente giunse il momento di cominciare questa meravigliosa avventura, perché la scuola è vita e prospettiva, anche in un luogo di pregiudizio e sofferenza. Per la prima volta feci il mio ingresso in carcere: il cuore mi batteva forte dall’emozione ed ero pervaso da sentimenti contrastanti, che albergavano dentro di me, perché andavo incontro all’ignoto. Per fortuna, l’Area Trattamentale, per il tramite di Funzionari pedagogici e giuridici, con garbo, mi accompagnò, gradualmente, nel viaggio iniziale alla scoperta della nuova realtà.
A poco a poco, svanirono tutti quei preconcetti legati alle persone ristrette, che ora guardo come fratelli e sorelle, studenti e studentesse, uomini e donne, insomma persone che hanno dignità, e non come animali in gabbia. A tal proposito, mi ha sempre fatto riflettere un proverbio tibetano, che così recita: “Un giorno camminando in montagna ho visto da lontano una bestia avvicinandomi mi sono accorto che era un uomo. La solidarietà è il principio ispiratore delle mie giornate “dentro”, arricchendomi e abbattendo in me quel pregiudizio che mi portava in prigionia. In tanti accorrono a me, al mio consiglio, al mio conforto e al mio aiuto materiale, rendendomi punto di riferimento. Si passa dal becero ‘ io ‘ al più nobile ‘ noi’, per arrivare ad un concetto di comunità che, al di là della mera genesi etimologica, rende un territorio culla di relazioni positive e propositive, oltre lo stigma.
Nella mia piccola esperienza scorgo in loro, dietro la scorza dura, il desiderio d’infinito e di pace che, purtroppo, in tanti, viene represso per il solo motivo che fanno tanta fatica a riconoscere che esiste un mondo alternativo, il mondo della “legalità”, dove la ricerca del bene è prioritaria. Il carcere, più dello stesso ospedale, è il regno del dolore, ed è come una porta sigillata, che si apre solo a chi sa bussare con umiltà, con generosità e pazienza, con delicatezza, con forza e grande rispetto.
(1- continua)
Bentornato,
Registratiaccedi al tuo account
Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!