La nostra società interculturale si profila, oggi, come un progetto sociale e umano in continua costruzione, come luogo che vuole condurci verso la reciproca condivisione per la costruzione di un sogno collettivo attento ai bisogni dei singoli individui e del gruppo.
Quando sono arrivata in Italia, 15 anni fa, era ancora troppo presto per poter parlare di confronto e di mediazione interculturale. Ricordo, con dispiacere, che non esisteva una figura di riferimento che potesse dare informazioni e fornire consigli sul nuovo percorso di vita da intraprendere in Italia. Non è stato semplice imparare a orientarsi in un ambiente in cui scarseggiavano l’ospitalità e l’accoglienza verso il prossimo.
Se penso a me stessa e a quel che sono oggi, amo pensare che non sono diventata mediatrice interculturale, ma lo ero già quando sono nata. Le difficoltà incontrate e la mancanza di una rete di servizi in grado di guidarmi, hanno determinato in me il forte desiderio e l’indole ardente di esserci per il prossimo, per tutti quei ragazzi e quelle ragazze che ho avuto la fortuna di incontrare, affinché almeno loro possano salvarsi dagli ostacoli che io ho vissuto sulla mia pelle in qualità di cittadina straniera non integrata.
Ad oggi, che lo si voglia o meno, siamo una società nuova, colorata, completamente immersa in più collettività interculturali che convivono tra loro. C’è consapevolezza. Ci sono nuove identità e la volontà di dar loro visibilità. Il lavoro del mediatore interculturale è spesso confuso con quello dell’interprete, che sfrutta le proprie abilità linguistiche per consentire la comunicazione tra due interlocutori di lingua diversa traducendo quanto viene detto oralmente. In realtà non si tratta di una semplice questione linguistica, ma di comprendere le usanze, gli usi, i costumi e i bisogni delle persone straniere, per poter abbattere le barriere culturali e linguistiche, promuovendo la cultura dell’accoglienza e facilitando l’integrazione sociale ed economica. In questa prospettiva, il mediatore interculturale ben conosce il contesto e la cultura del Paese di provenienza, il contesto locale di quello di approdo e la rete di servizi territoriali.
Intuizione, pazienza, comprensione, una buona predisposizione all’ascolto sono solo alcune delle qualità che non devono mai mancare a chi decide di intraprendere questo percorso.
Oggi, essere un mediatore interculturale ti permette di essere vicino a chi arriva, di ascoltare i suoi mille dubbi e quelle paure che 15 anni fa sono state le tue stesse paure, e di regalare lui un sorriso di conforto e la consapevolezza di non essere completamente solo. All’interno di un sistema nuovo, chi meglio di un mediatore culturale può conoscere i problemi e le soluzioni, i dolori e le gioie? La nostra presenza è sicuramente un valore aggiunto che fa la differenza per una buona comunicazione paritaria e una mediazione efficace in grado di comprendere e attribuire la giusta interpretazione ai codici culturali sia del Paese di origine, sia di quello d’accoglienza.
Pensando al futuro, vorrei che il sistema potesse dare maggiore riconoscimento alla categoria dei mediatori interculturali. In Italia manca un quadro normativo unificato che definisca il nostro profilo professionale, le qualifiche, le mansioni e un giusto inquadramento contrattuale. Non c’è chiarezza, la situazione varia da regione e regione, da comune a comune, da istituzione a istituzione.
C’è bisogno di noi nelle scuole, negli ospedali, negli uffici della pubblica amministrazione.
Doris Nosakhare è mediatrice interculturale