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Internazionalizzare? Si può

C’è stato chi, leggasi il filosofo J. F. Lyotard (nel suo celebre volume “La condizione postmoderna” - 1979), ha teorizzato la fine delle “grandi narrazioni”, sostenendo che fossero giunti ad esaurimento i grandi meta-racconti, che avevano conferito un senso unitario e globale alla realtà, superata dall’avvento della società post-moderna. Polimorfa, frammentata, instabile. Tratto distintivo della…

C’è stato chi, leggasi il filosofo J. F. Lyotard (nel suo celebre volume “La condizione postmoderna” – 1979), ha teorizzato la fine delle “grandi narrazioni”, sostenendo che fossero giunti ad esaurimento i grandi meta-racconti, che avevano conferito un senso unitario e globale alla realtà, superata dall’avvento della società post-moderna. Polimorfa, frammentata, instabile. Tratto distintivo della società globalizzata.

E c’è oggi chi ha scorto nel conflitto bellico in corso in Ucraina un argomento ulteriore per rilanciare la tesi della “fine della globalizzazione” e del ritorno al protezionismo, già preconizzata dall’economista S. D. King, nel libro “Il mondo nuovo. La fine della globalizzazione e il ritorno della storia” (2017).
Un dato di realtà, tuttavia, par fermo e, presumibilmente, tale rimarrà ancora per molto tempo: un accesso al mercato estero più agevole rispetto al passato.
Non soltanto per l’homo consumens, per dirla alla Bauman (2007), ma anche per chi voglia fare impresa. 
Il mercato è vastissimo e notevoli le opportunità. Tra queste si annoverano i contratti pubblici internazionali.
Si consideri che soltanto il sistema del procurement delle Nazioni Unite movimenta ogni anno un volume di acquisti pari a circa 20 miliardi di dollari, con trend in crescita dal 2014. A questo, ovviamente, si accompagna l’imponente volume d’affari riveniente dall’approvvigionamento effettuato dall’ampia platea degli ulteriori Enti e Organismi sovranazionali (es.: U.E., Banca mondiale).
Ma a rendere allettanti gli appalti internazionali non sono soltanto la loro portata finanziaria e la vasta gamma di gare bandite; un contributo importante, in tal senso, deriva altresì dalla tendenziale standardizzazione delle procedure in cui esse si sostanziano e- dato nient’affatto trascurabile- dall’elevato grado di realizzazione dei crediti maturati nei confronti delle Stazioni appaltanti.
Un mercato dinamico, dunque, ottimo complemento o persino valida alternativa a quello interno, sempre più asfittico e ostico, quando non ostile.
Epperò, un mercato ancora non abbastanza considerato nelle sue potenzialità dalle PMI italiane, soprattutto meridionali.
Ed ecco, dunque, che nell’attuale modello di sviluppo socio-economico quella che, fino a qualche lustro fa, in una visione prospettica, poteva atteggiarsi a mera chance of business, ora si impone come necessità -forse vitale- per le imprese: varcare le Colonne d’Ercole dei propri apparentemente confortevoli ristretti ambiti territoriali e confezionare quell’habitus mentale senza il quale la realtà fenomenica difficilmente prenderebbe forma. In altri termini, spingersi oltre.
Le condizioni, come accennato, sussistono; rese note da una molteplicità di fonti informative, poste a disposizione dalle Stazioni appaltanti e da altri Soggetti istituzionali: si pensi al c.d. TED (Tenders Electronic Daily), versione online del supplemento alla Gazzetta ufficiale dell’U.E., dedicato agli appalti pubblici europei. Fonti che danno conto delle commesse da assegnare e delle specifiche procedure da seguire nell’aggiudicazione delle stesse, declinate in manuali ad hoc, come il c.d. P.R.A.G. (Procedures and Practical Guide), adottato nell’ambito eurounitario.
A dispetto dell’appeal, tuttavia, l’approccio al settore non è semplice, anche in ragione della spiccata concorrenza esercitata dalla pletora di operatori provenienti da ogni dove e della complessità strutturale che spesso caratterizza l’oggetto dell’appalto.
L’imprenditore che voglia cimentarsi su questo terreno abbisogna, infatti, della conoscenza dei fondamentali della gara internazionale e dei segmenti procedimentali in cui si articola, fino a comporre un proprio ciclo (il c.d. P.C.M.: Project Cycle Management). Così da poter orientarsi in una tipologia di procedura (aperta, “open”), piuttosto che in un’altra (ristretta, “restricted”), a seconda delle modalità di gestione della stessa (centralizzata, decentralizzata o delegata), nonché dei criteri di selezione, volti a verificare la economic and financial capacity, la professional capacity e la technical capacity del partecipante.
Un know-how necessario ma non sufficiente a poter competere nel mercato globale, se non integrato, da un lato, da una strutturazione aziendale adeguata, in grado di comprendere le dinamiche e le tendenze del mercato di riferimento e di prevenire e risolvere le problematiche che in esso insorgono. E, dall’altro lato, da una strategia che, prima ancora di individuare il settore in cui gareggiare o di partecipare ad una specifica gara, muova dall’analisi di aspetti preliminari, quali ad esempio i propri punti di forza (c.d. “vantaggio competitivo”) e il contesto estero in cui operare, optando preferibilmente per quelle aree in cui già sussistano elementi favorevoli all’insediamento.
Insomma, gli appalti internazionali offrono una straordinaria opportunità economica e, oltretutto, possono rappresentare un importante fattore di ibridazione culturale e di mitigazione delle conflittualità intercomunitarie, utile a scacciare lo spauracchio, oggi tornato ad agitarsi, dello “scontro di civiltà”, paventato dal politologo statunitense S. P. Huntington, nel suo tanto dibattuto saggio del 2006.
Avv. Giuseppe Ruscigno (Foro di Bari)
 

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