Bitonto come Scampia, con i suoi “uomini borsone”, le donne custodi, i minorenni a fare da vedette. E su tutti il Capo, Domenico Conte, che controllava la sua “azienda” dalle telecamere di videosorveglianza che aveva fatto installare nella sua casa con i portoni blindati, via Pertini, zona 167.
Perfetto imprenditore, Mimmo u gnur aveva messo in piedi una vera e propria “azienda”, con un sistema ben oliato da 30 mila euro al giorno e tariffe settimanali, personalizzate a seconda dei ruoli: 500 euro per le vedette, «i ragazzi», come li definisce uno dei collaboratori di giustizia, Vito Tarullo, con grado mafioso di “quarta”.
E poi, a salire, 1.000 euro per chi ha «il borsone, dentro al palazzo», 1.500 agli uomini armati di guardia sui terrazzi, «tutti quelli che avevamo le pistole, noi» e al responsabile della piazza che si occupava anche dei rifornimenti. Alle donne, che custodivano soldi e denaro, la tariffa era di 300 euro la settimana. E, se la quantità di droga spacciata superava l’ordinario, scattava il bonus mensile di 5 mila euro.
Numeri da capogiro emergono dall’inchiesta coordinata dai pm antimafia di Bari, Ettore Cardinali e Marco D’Agostino, conclusasi all’alba di ieri con 43 arresti, tra carcere e domiciliari. Lo stipendio veniva consegnato ogni venerdì nella base blindata del gruppo criminale in via Pertini, nella zona 167, una delle due piazze di spaccio oltre quella nel centro storico, dove il capo in persona provvedeva a consegnare la retribuzione (a meno che non fosse nervoso, e la distribuzione slittava al sabato) e, in occasione delle festività natalizie, dava anche bonus in denaro, bottiglie e panettoni.
Mentre imprenditoriale anche nel fidelizzare i clienti: se a un tossicodipendente veniva sequestrata la dose appena acquistata, il clan gliene regalava un’altra. E a sbaragliare la concorrenza, abbassando i prezzi della “roba” di ottima qualità. Il giro d’affari di 30 mila euro al giorno per circa 40 chili di stupefacenti si divideva tra cocaina, hashish, marijuana e amnesia, “un’erba che ti fulmina il cervello”, come la definivano i pusher.
Ricostruiscono gli inquirenti: «la piazza del ponte, nel centro storico, nella prima fase, di ‘avviamento’, produsse guadagni relativamente irrisori. In pochissimo tempo però, grazie alla migliore qualità della sostanza e, a parità di prezzo, ad una quantità per dose maggiore rispetto a quella distribuita dalla “concorrenza”, aumentò vertiginosamente i guadagni del gruppo».
E poi, per essere certo di non perdere niente, imponeva ai suoi “dipendenti” tre chiusure di cassa giornaliere: «La rimanenza dello stupefacente, si contano tutto… per trovarsi ai conti precisi – spiega Tarullo agli investigatori – perché Conte sennò non pagava la settimana. La chiusura e la rimanenza su bigliettini gialli, rosa. Le sedie si riempiono di soldi».
I fatti contestati risalgono al periodo 2013-2018, quando Conte si appropriò anche della piazza di spaccio del clan avverso, i Cipriano. E le indagini della Squadra Mobile e del commissariato di Bitonto, sono partite nel periodo più caldo dello scontro armato tra i due clan che culminò, il 30 dicembre 2017, con l’omicidio di Anna Rosa Tarantino, uccisa per errore durante uno scontro a fuoco nella città vecchia. Lo spaccio, attivo h24 e suddiviso su tre turni, avveniva con modalità precise: il tossicodipendente bussava al portone di ferro e il pusher calava il cestino nel quale, una volta ritirata la dose, veniva messo il denaro.
Il giorno che fu conquistata la piazza di spaccio nel centro storico, individuata la “casa”, Conte ne organizzò anche l’inaugurazione, facendo acquistare da uno dei suoi uomini i fuochi d’artificio e la sera del 3 ottobre 2017 li fece accendere in pieno centro storico: «Vengono messi duemila colpi di sparo – ricorda il pentito – tutta Bitonto lo sa questa cosa».