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Omicidio di San Valentino, nuovo processo 21 anni dopo

Senza un colpevole, dopo 21 anni. Era San Valentino del 2001 e Rocco Sciannimanico fu crivellato di colpi al quartiere Carrassi di Bari. Le indagini puntarono su Domenico Velluto, personaggio di spessore della zona, ritenuto vicino al clan Parisi. Aveva il movente, l’alibi era traballante e, soprattutto, era inchiodato dalla testimonianza di sua moglie: «Venne…
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Senza un colpevole, dopo 21 anni. Era San Valentino del 2001 e Rocco Sciannimanico fu crivellato di colpi al quartiere Carrassi di Bari. Le indagini puntarono su Domenico Velluto, personaggio di spessore della zona, ritenuto vicino al clan Parisi.

Aveva il movente, l’alibi era traballante e, soprattutto, era inchiodato dalla testimonianza di sua moglie: «Venne a prendere me e i miei figli con due ore di ritardo, disse che non aveva l’amante, ma che aveva ucciso un uomo. Poi ci portò sul luogo del delitto». Testimonianza credibile, arricchita da quella di 12 collaboratori di giustizia, e Velluto fu inchiodato: condannato a 20 anni in primo e secondo grado.
Fino ai giorni scorsi, quando la sentenza è stata ribaltata dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione, che ha accolto l’istanza degli avvocati Massimo Roberto Chiusolo e Pino Giulitto. Tutto da rifare, dunque, per un omicidio che a distanza di tanti anni, rischia di rimanere senza un responsabile, senza un “perché”. E non c’entrano, secondo i legali di Velluto, quei 10 milioni di lire che la vittima avrebbe dovuto dare a Velluto per una partita di droga, non ha nessuna correlazione, a distanza di due anni dall’altro fatto, l’omicidio di un amico del boss, insomma non sarebbe stata una vendetta. Per un’ora, dinanzi ai giudici della Suprema Corte, i difensori di Velluto hanno spiegato ai magistrati che le dichiarazioni di sua moglie (ora ex e diventata nel frattempo testimone di giustizia) erano pretestuose, fatte solo per liberarsi di un marito violento.
«La difesa del Velluto ha sempre contestato la veridicità del contributo della signora Sciannimanico – spiegano i due legali – animata da gravissimi motivi di rancore nei confronti dell’ex marito, che l’aveva vessata per anni, maltrattandola continuativamente. Abbiamo prodotto sentenze e documenti comprovanti i motivi del rancore, ma tali situazioni non sono state ritenute dai giudici di merito a comprovare la calunniosità delle accuse rivolte al Velluto e tale posizione è stata ribadita anche dal sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, che aveva chiesto il rigetto del ricorso». Di diverso parere i giudici di terzo grado che hanno ritenuto insufficienti gli elementi di accusa a carico del boss barese (in carcere perché ritenuto a capo di una associazione finalizzato al traffico internazionale di droga e per la introduzione di quintali di sostanza nel territorio barese) ordinando la celebrazione di un nuovo processo.

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